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CHIESA: accoglienti alle porte!

Una apprezzata novità portata dalla pandemia

CHIESA: accoglienti alle porte!

Concludendo una riflessione sul tempo della pandemia e sulla Chiesa che verrà, don Giuliano Zanchi osserva: [la Chiesa] “dovrà lasciare per terra i relitti e raccogliere i tesori che in questo momento luccicano ancora bagnati della marea appena ritirata”. Tra i tanti tesori che luccicano in questo tempo, pensiamo solo alle tante forme di vicinanza umana e solidarietà concreta verso le persone sole e in difficoltà, ve ne sono alcuni anche nell’ambito celebrativo. È il caso del servizio di accoglienza alle porte delle chiese. In realtà - come spiega lo storico trentino Emanuele Curzel - si tratta di un servizio che esisteva già nella Chiesa antica. Nei mesi scorsi è stato “recuperato” per assicurare che chi entrava in chiesa igienizzasse le mani, rispettasse i posti assegnati ai fini del distanziamento e indossasse la mascherina. Fin da subito il servizio non si è limitato agli aspetti igienico-sanitari: le tante persone che nelle nostre parrocchie si sono rese disponibili, si sono adoperate per un’autentica accoglienza: un sorriso, un benvenuto, un “come va”, e, nei primi tempi, anche una rassicurazione a quanti ritornavano in chiesa un po’ preoccupati. Abbiamo scoperto quanto sia bello avere qualcuno che ti accoglie alla porta. “Un contatto umano - osserva Curzel - ci comunica davvero che in quella domus ecclesiae, “casa dell’assemblea”, siamo i benvenuti, uno per uno. Il fatto di dover individuare, settimana per settimana, gli incaricati di questo servizio ha finito col conferire responsabilità a coloro che garantiscono puntualità, correttezza e gentilezza: il ministero dell’ostariato non si può affidare a chiunque”. Nella Chiesa antica, infatti, c’erano i custodi della porta (ostium) chiamati ostiari.
Ora che abbiamo imparato a osservare le “norme” di accesso alle chiese, gli ostiari stanno scomparendo. Li troviamo nelle celebrazioni più partecipate (Natale, funerali, cresime, prime comunioni...) e in poche parrocchie nelle domeniche ordinarie. Non sarebbe bello che questo servizio diventasse ordinario? La presenza di qualcuno alla porta non sarebbe un bel segno di fraternità? “Questa innovazione liturgica, imposta dalle circostanze, è una buona pratica da cogliere nel suo significato e nella sua importanza e non dovrebbe venire dismessa a fine emergenza”, scrive Curzel. Certo, il servizio non può essere improvvisato (ma neppure troppo istituzionalizzato...), richiede delicatezza unita a una certa creatività.
Nel 2018 il monaco Goffedo Boselli ci diceva, in un apprezzatissimo incontro diocesano dal titolo “Il vangelo celebrato”: “Incamminare le nostre comunità cristiane, le nostre parrocchie, verso la ricerca di una sempre maggiore umanità della loro liturgia significa far si che i credenti assidui come quelli occasionali, attraverso l’umanità della parola e del gesto liturgico, l’umanità dell’ambiente e dello stile liturgico, entrino in contatto e facciano esperienza dell’umanità di Dio rivelata nell’umanità di Gesù Cristo”. Forse la pandemia ci dà una piccola opportunità di rendere concreta questa indicazione.
Federico Citron

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