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Diciottesimi in oratorio. Sì? No?

Una lettera solleva una questione delicata.

Diciottesimi in oratorio. Sì? No?

Ci è giunta in redazione una lettera che segnala la questione – delicata – dell’utilizzo degli oratori per le feste di diciottesimo compleanno, diventate ormai una moda (un “must”, per dirla coi giovani!). Abbiamo chiesto un parere a don Paolo Cester, presidente di “Noi Vittorio Veneto”, nella consapevolezza che il tema è sentito anche in altre comunità.

LA LETTERA: DIRE “NO” A PRIORI È ANDARE CONTRO ALL’INVITO DEL PAPA AD ANDARE VERSO LE PERIFERIE

Nel nostro oratorio c’è uno spazio per ospitare attività per tutte le fasce di età. Per organizzare il calendario e stabilire le condizioni di utilizzo, si è riunito il comitato di gestione. Si è valutato anche l’uso per le feste di diciottesimo: i casi di una parrocchia vicina hanno condizionato la maggioranza N dei presenti che si sono schierati per il no “a priori” per tali feste. Sono contrario a questa scelta per tre motivi. Il primo: se un ragazzo reputa questo spazio parrocchiale idoneo alla sua festa e lo chiede in utilizzo (magari ha già fatto volontariato come animatore), è incoerente e grave sbattergli la porta in faccia. Secondo: è chiaro che nella concessione di utilizzo del salone sarà specificato che la responsabilità sarà del genitore, che avrà cura di organizzarsi in modo che l’evento possa stare entro i “paletti” previsti. Non mancherebbero inoltre presenze di adulti. Terzo: papa Francesco chiede con tutta la sua forza di andare verso le “periferie” esistenziali di oggi. Questo “no” non è andare nella direzione opposta? Perché lasciare la sfida di educare i nostri figli solo alla famiglia e alla scuola? Perché non affrontare ogni richiesta che ci viene rivolta, anche se molto impegnativa, convinti che le nostre comunità parrocchiali sono – grazie a Dio – “famiglia di famiglie”? O forse crediamo che i diciottenni siano campo minato, non degni di presenza nei nostri “recinti” parrocchiali?

Lettera firmata

LA RISPOSTA DI DON PAOLO: ACCOGLIENZA NON È PRESTARE UNA STANZA

Un servizio alla comunità – come può essere l’aver fatto l’animatore – non genera dei diritti. In questo modo si elimina la gratuità del servizio assegnando ad alcuni un trattamento speciale e si genera un sistema di privilegi per i “nostri” che va proprio contro quanto scritto sull’accoglienza. Un regolamento, infatti, o vale per tutti o non vale per nessuno, sennò si creano distinzioni e non accoglienza. Credo poi che sia facile parlare di accoglienza quando la responsabilità deve prenderla un altro. Qualunque sia il regolamento, chiunque sia presente o qualunque sia la disponibilità dei volontari (genitori o consiglieri), di fronte alla legge – trattandosi di ambiente della parrocchia e gestito dalla parrocchia – il responsabile è sempre il parroco, il titolare legale. La cronaca di questi giorni è piena di esempi problematici. Basti pensare alla condanna inflitta ad un preside e al Miur perché un ragazzino delle medie, uscito da scuola col permesso dei genitori, è stato investito. Il permesso dei genitori non conta davvero molto e così l’impe- U gno dei genitori nelle feste. Trovo fuori luogo l’opinione secondo la quale essere accoglienti significhi dire sempre di sì. Così non funziona in famiglia: un genitore che dice “no” spesso è più responsabile di uno che dice “sì”. E così non funziona nemmeno in una comunità parrocchiale, famiglia di famiglie. Di certo i “no” vanno motivati, specie se si parla a persone mature, ma spesso sono più educanti di tanti facili “sì”. A volte si deve restare fedeli ad essi, anche se l’educando non capisce. Anche papa Francesco – citato nella lettera – non si fa problema a dire dei “no”. Personalmente non sono un fan dei “no a priori”. In questi casi non dico mai no a priori ma pongo delle condizioni per questo genere di feste. Ad esempio: che ci sia un genitore sempre presente; che non ci sia alcol; che la fine della festa sia a mezzanotte, massimo mezzanotte e mezza; che ci sia la pulizia degli ambienti... Di solito non faccio in tempo a finire la breve lista che già al secondo punto il 18enne non è più interessato all’ambiente. Quanto alle esperienze, come tanti altri, sono passato per la fase idealista accordando permessi a feste simili. Purtroppo sono proprio quelle esperienze che hanno fatto maturare la scelta di non sostenere queste iniziative, a motivo di episodi anche molto gravi. Non conosco parrocchie che permettano queste feste se non con limitazioni piuttosto severe da renderle di fatto poco appetibili ai ragazzi stessi. Nella lettera si riconosce la liceità di alcuni “paletti” e non capisco perché questi non possano riguardare anche l’età. Il fatto che la legge riconosca la maggiore età ad un giovane non costituisce una grande garanzia per la parrocchia, tenuta a fare dei propri ambienti un luogo dai precisi significati e valori. Valori che se anche un 18enne possiede e coltiva, non è in grado, all’occorrenza, di “pretendere” dai suoi ospiti di pari età (come l’esperienza, oltre che la logica, insegna con abbondanza). Insomma, l’accoglienza è cosa molto concreta, richiede dunque delle attenzioni pratiche, non per imbrigliarla, bensì per difenderla da certe utopie che la renderebbero impraticabile. Tuttavia è assolutamente giusto interrogarsi su come esprimere l’accoglienza ecclesiale nei confronti di questa fascia di età, spesso difficile da accostare. Se le feste di diciottesimo non sono un ottimo terreno per l’incontro, ciò non significa che non ve ne siano altri. È giusto che i nostri oratori cerchino occasioni di incontro, magari con l’attenzione a non fare steccati tra le generazioni ma piuttosto promuovere spazi di condivisione e arricchimento reciproco, perché questo mi pare sia accoglienza: stare insieme, non prestare una stanza.

Don Paolo Cester presidente territoriale di “Noi Vittorio Veneto”

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