Il giornale del 22 novembre. Edizione digitale
La Chiesa che accoglie.
Sono tempi in cui, nella nostra terra, il termine accoglienza viene collegato subito alla figura dei migranti che arrivano in Italia spesso via mare dall’Africa nordorientale, o via terra dall’est. Accostamento corretto, certo, ma non esclusivo. L’accoglienza verso il prossimo, in questi tempi difficili, è rivolto anche a tanta altra gente. Donne sole con figli, famiglie con padri di famiglia rimasti senza lavoro e nell’impossibilità di ritrovare un’occupazione, persone senza fissa dimora...
Il cuore grande di tanta gente, anche se più silenzioso del baccano di chi si lamenta della presenza e dell’arrivo dei “profughi”, per fortuna continua a battere. Tante porte si aprono, tante mani vengono tese. La diocesi, attraverso la Caritas, ma anche attraverso altre realtà non solo parrocchiali, contribuisce silenziosamente ad aiutare in queste situazioni.
Rispondendo alla propria vocazione, alla propria missione, e per questo senza farsene vanto. Ma togliendo – è anche giusto dirlo – le castagne al fuoco dello Stato, che altrimenti si troverebbe a dover gestire questi casi di emergenza, senza averne probabilmente le possibilità. Sabato scorso la Caritas diocesana ha inaugurato una nuova casa, di cui parliamo in questo Primo Piano, per accogliere persone in stato di bisogno (ma non i cosiddetti “profughi” cui sono dedicate altre strutture). Intitolandola a don Vittorino Favero che della Caritas diocesana fu il fondatore.
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