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Le stelle e i desideri dei giovani

Un'intensa riflessione di don Fabio Mantese

Le stelle e i desideri dei giovani

Campo scuola giovanissimi di Azione Cattolica. Una cinquantina di ragazzi tra i sedici e i diciassette anni. Tema del campo: la libertà. Una sera, quasi a mezzanotte, si decide di andare sul greto sassoso di un torrente in secca a vedere le stelle. Il cielo è sgombro, la luna assente, la temperatura tiepida. Torcia alla mano e felpa attorno alla vita, ragazzi ed educatori aggrediscono il breve tratto di bosco che separa la casa dal torrente. Quando arrivano, si sistemano accampandosi sulle pietre e sull’argine.

Stendono le coperte e vi si adagiano, in una sorta di albergo notturno. «Che bello!», «Ma quello è un pianeta?», «E la luna quando sorge, don?», «Com’è che si chiama quella stella così bianca?», «Guarda un satellite, ci sta fotografando!». Li osservo in silenzio. Passo in mezzo a loro, invitandoli al silenzio e al buio delle torce. Pian piano il chiacchiericcio si estingue, restano solo alcune risatine di sottofondo. Ogni tanto, all’unisono, scoppia un «Oh!» di meraviglia: il cielo estivo è generoso di stelle cadenti. Ma ancor più delle scie luminosissime e fugaci, il chiarore del firmamento ha attratto la mia e la loro attenzione. Ha destato il cuore riconoscere la Via Lattea nella quale siamo immersi, e riconoscere il Grande Carro, così basso in estate e parzialmente nascosto dalle imponenti Dolomiti. Dall’ultimo dei suoi puntini, risalire alla Stella Polare è un gioco da ragazzi.

A un certo punto, azzardo un invito alla preghiera. «Ragazzi, scegliete una stella. Adottatela, stanotte. Appendete a lei un vostro desiderio, un sogno. E chiedetele che lo porti al Creatore, Colui che l’ha forgiata». Brillano le stelle, brillano i sogni. A volte un’intermittenza di queste e di quelli sembra generare confusione nella vita. Degli adolescenti e di noi adulti. Ma c’è qualcosa di fisso, di fermo stanotte. Che sembra infondere fiducia anche ai cuori più traballanti.

Sento che il silenzio è abitato dallo stupore, in quella marea di sagome indistinguibili. Poi, allargando lo sguardo, vedo una scena che mi punge e m’interroga. Tra i ragazzi distesi, ce n’è uno a pancia in giù, la testa appoggiata alla coperta, gli occhi chiusi. Non guarda le stelle, dorme. O sonnecchia. Sembra che la meraviglia di quel cielo non lo attragga. Conosco bene quel ragazzo. So qualche pagina della sua storia e delle sue lacrime. Forse aveva per davvero del sonno da recuperare dalle notti precedenti (un po’ di confusione da camerata non manca mai!), forse era di cattivo umore o non aveva voglia, e basta.

Eppure quella faccia rivolta alla coperta mi resta conficcata nel cuore. Quasi un atto di protesta. Un boicottaggio della vita che scende da lassù e che noi non possiamo procurarci in nessun modo. Come se persino il cielo fosse un disegno troppo grande da contemplare per lui; e parlare di sogni e futuro e promessa e bellezza fosse un discorso troppo impegnativo. Penso che non lo sia, affatto. Penso che un libro aperto alla pagina del cielo stellato sia un ottimo suggerimento per una 'buonanotte' che si rispetti, per chi ha la vita davanti, e sogni e paure mischiati insieme nel cuore. Un cuore dove abita la fede e la diffidenza, e dove Dio talvolta sembra nascondersi. Come aveva promesso, ad Abramo e alla sua discendenza.

Mi sovvengono in quell’istante le parole del Magnificat che qualche ora prima avevo pregato. C’è anche D. tra quella discendenza. Anche se adesso lui le stelle non le guarda. Un compito troppo arduo, quando qualcuna di esse si è già spenta dentro. «Sono loro a guardarlo», mi dico. E prima di riprendere la strada di casa, abbozzo un sorriso che sa di speranza. Un giorno si girerà a pancia in su, ne sono certo.

don Fabio Mantese

(Fonte: Avvenire)

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