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Il vento del populismo

L'editoriale de L'Azione di questa settimana.

Il vento del populismo

Spira un vento nuovo da un capo all’altro del pianeta. Per qualcuno è un fresco vento primaverile che annuncia la buona stagione. Per altri è un vento di uragano che lascerà dietro di sé distruzione e morte. Per tutti è il segnale che l’assetto politico mondiale sta cambiando profondamente. Ha molti nomi: populismo, nazionalismo, sovranismo. Quest’ultimo è molto appropriato perché la nuova configurazione punta al ritorno della sovranità degli stati nazionali che era stata messa in pericolo dalla globalizzazione. Questa è stata frutto del progresso tecnologico delle comunicazioni, che annullavano con facilità le distanze spaziali. Così era incominciato un intenso flusso di capitali, di merci e di persone che le vecchie protezioni delle frontiere non riuscivano più a controllare. Gli stati si videro di fatto derubati, in parte, della loro sovranità, ma la cosa non fu percepita come un danno perché si riteneva che questa maggiore mobilità globale avrebbe portato benefici per tutti. Per i Paesi più ricchi che allargavano così i loro mercati e usufruivano di manodopera più conveniente e per i Paesi poveri che speravano in uno stimolo forte al loro sviluppo. L’unica cosa che destava preoccupazione era il movimento delle persone verso i Paesi più sviluppati che non si riusciva a contenere.

Ma ora è iniziato un movimento in senso contrario. Ora si nota una generale contrazione degli Stati in se stessi e un rafforzamento dei loro confini.

Tornano ad affermarsi politiche di protezione; si parla di dazi, si stracciano trattati che facilitavano gli scambi, soprattutto si cerca di fermare la fiumana di persone verso i Paesi del benessere. Sono queste le nuove bandiere innalzate dai leader dei Paesi più forti (Trump, Putin, May) che hanno rinvigorito anche i leader delle nazioni europee che da tempo ponevano freni al processo di unificazione europeo e reclamavano un ritorno agli stati nazionali. È importante notare che questa svolta non è stata imposta con gesti autoritari. È stata frutto di un processo democratico. Sono state le masse popolari che hanno voluto questo, soprattutto le masse più povere, come è apparso evidente nelle elezioni americane. Ma anche in Europa i movimenti populisti avanzano attraverso i canali della democrazia. Il prossimo anno ci saranno elezioni in Francia, in Germania e forse anche in Italia e si teme una forte affermazione di queste tendenze.

Come mai sta accadendo tutto questo? È evidente che si tratta di una reazione in senso contrario alla globalizzazione. Di fatto la globalizzazione non ha portato quei benefici che tanti si aspettavano. Dietro il trionfalismo di un mondo aperto che avrebbe portato benessere per tutti, si celavano in realtà vergognose speculazioni e sfruttamenti. Se qualche nazione ne ha tratto benefici in termini di sviluppo, per altre ha creato un peggioramento delle condizioni di vita. Negli stessi Paesi più sviluppati si sono aperti squarci di povertà che prima non esistevano. I mali di una globalizzazione selvaggia è sotto gli occhi di tutti, ma il fenomeno che sta avanzando in questi tempi non è il rimedio giusto. Rischia di creare un mondo ancor più invivibile. Un mondo di popoli arroccati in difesa dei propri privilegi.

Il doloroso fenomeno delle migrazioni è un sintomo del male peggiore che sta avanzando. Era inevitabile che una globalizzazione lasciata crescere come movimento di capitali e di merci dei Paesi più forti, provocasse anche un movimento di popoli verso il maggior benessere. Ma di questo non ci si è curati. Non si sono pensate politiche che governassero il fenomeno e correggessero gli squilibri che la globalizzazione stava creando tra le varie parti del pianeta. Ora le migrazioni sono l’incubo dei Paesi ricchi che si cerca di scongiurare creando muri sempre più alti. Insieme alla difesa contro migranti scattano tutti gli altri provvedimenti di chiusura e di difesa dei propri privilegi. Ma è una strada pericolosa che porta ad un passato di contrapposizioni che inevitabilmente sfociavano in guerre disastrose. Anche le difficoltà che l’Europa sta incontrando sono conseguenza di questo atteggiamento. Le nazioni che erano partite con l’entusiasmo di creare un grande spazio di benessere e di sicurezza, manifestano la tendenza a ripiegare su se stesse riprendendosi tutta la sovranità. Sbagli sono stati fatti nel processo di unificazione, ma le attuali reazioni ci portano ad un passato che volevamo superare.

Lunedì 13 febbraio inizia la Settimana sociale diocesana che ha come titolo “Europa al bivio”. Intende affrontare proprio questo momento difficile in cui si trova il continente: tra una veloce marcia indietro verso la sua disgregazione e uno scatto di coraggio che corregga i passi sbagliati e imbocchi decisamente la strada dell’unificazione politica. Romano Prodi commentava così l’attuale politica negli Usa: «Trump provocherà in Europa una reazione o un’ondata». Una reazione di orgoglio che faccia riprendere la strada giusta o un’ondata che darà forza ai populisti e spazzerà via ogni ideale europeo.

Don Giampiero Moret

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