Editoriale
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Imparare dagli errori

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

Imparare dagli errori

“I fatti della diocesi di Padova invitano la Chiesa del Triveneto ad una profonda riflessione”. Questo mi suggeriva un confratello quasi coetaneo, che provocatoriamente chiedeva: “Saremo capaci di fermarci a pensare?”. Accogliendo tale provocazione, alla luce di questi fatti “scandalosi”, mi pare che alcune riflessioni ormai si impongano. La prima mi è stata rilanciata da un altro confratello – più anziano e saggio – che invitava a considerare quanto sta accadendo a Padova e la risonanza mediatica che ne è conseguita come un’occasione per crescere e per migliorare come Chiesa (e come preti).

Mi ha stupito molto questo sguardo costruttivo e lungimirante, che non indugia nel gridare allo scandalo di fronte agli errori (gravi) degli altri preti né si ferma puramente a lamentarsi delle attenzioni pruriginose della stampa. Se è vero che Gesù dice “guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo”, è vero anche che “è inevitabile che avvengano scandali”. Come a dire che fanno parte del percorso di questa esistenza, segnata dal peccato. Bisogna sapere che gli scandali ci sono e ci saranno e che è necessario imparare ad affrontarli in modo costruttivo, in vista della conversione. Una seconda considerazione: la vita della Chiesa – e anche quella dei preti – talvolta assume le caratteristiche di una corsa, in cui si rischia di perdere di vista gli obiettivi e le motivazioni autentiche del proprio correre.

In una vita dai ritmi vorticosi, tutti – i preti come i laici – sono chiamati di tanto in tanto a fermarsi, a fare il punto della situazione, a mettere ordine e a ristabilire le priorità. È una questione di vita o di morte. Cioè, se ogni tanto non rallenti, non rientri in te stesso e fai di nuovo unità, rischi di finire completamente frammentato e di fare quello che non volevi, perdendoti. Il meccanismo è quasi matematico e i preti e i consacrati non ne sono esentati. Guardando più da vicino quella che è la vita del prete – e del prete diocesano – si aggiunge una terza considerazione, prospettata nella cosiddetta lettera “segreta” del vescovo di Padova ai suoi presbiteri. Vale a dire: non vivete da soli il vostro ministero! Non si tratta semplicemente di vivere in canonica con altri preti, sebbene questa condizione possa essere di aiuto.

Vivere con qualcuno, infatti, costringe a rendere conto di quello che si fa e a giustificare assenze e presenze. I religiosi e le religiose, che vivono “per statuto” in comunità, sono effettivamente avvantaggiati da questo punto di vista. E anche chi è sposato, in un certo senso, è aiutato, perché deve rendere ragione al partner e ai figli di quello che fa e di dove va… Sappiamo tuttavia che la comunità o la famiglia – ahimè! – non garantisce automaticamente la fedeltà ai propri impegni! Ciò che diventa essenziale, anche qualora si vivesse da soli, è non gestire in totale autonomia la propria coscienza e le proprie fatiche. La tradizione spirituale insegna che ogni prete deve avere un rapporto frequente con la confessione e magari un confessore stabile oppure un padre spirituale, cioè una persona con cui consigliarsi periodicamente su quanto sta vivendo. Spesso anche una persona saggia, “esperta in umanità”, può essere di grande aiuto. Ciò non significa affidare ad altri la propria libertà perché altri decidano di noi.

La presenza di un altro che ascolta e condivide le fatiche e i periodi complessi che si possono attraversare è una grande opportunità per restare nella verità e per non confondere, consapevolmente o inconsapevolmente, il bianco con il nero. Insomma, il confronto con un'altra persona ci impedisce di “raccontarci storie” e conseguentemente ci aiuta a fare scelte libere, di qualunque genere possano essere. Un’ultima conclusione – la quarta – coinvolge tutti i membri della chiesa, ma soprattutto i preti e chi ha delle responsabilità di guida (ma anche i laici!). Dinanzi a dei segni di disagio – più o meno evidente, più o meno patologico – di un confratello, non ci si può più fermare a distanza, nel nome di un frainteso rispetto della libertà dell’altro, che è soltanto una scusa alla propria pigrizia o al proprio imbarazzo. Il vangelo parla di correzione fraterna. Più prosaicamente potremmo dire così, come mi confidava un caro amico: “Prima che faccia certi errori, per favore, vieni a tirarmi per le orecchie”. Insomma: “Se non mi rendo conto io dell’errore che sto facendo, per favore, prendi tu l’iniziativa e vieni ad aiutarmi”.

Alessio Magoga

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