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La strada dell'autenticità per conquistare i giovani

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

La strada dell'autenticità per conquistare i giovani

“Come faccio a fare innamorare i giovani di Gesù? Come hanno fatto a far nascere in me la passione per Lui?”. Queste le domande che don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, ha rivolto innanzi tutto a se stesso e poi anche al folto pubblico presente a Sacile, per una serata promossa dal Centro di studi biblici sul tema “Bibbia e giovani”. La sua narrazione autobiografica – un vero fiume in piena – ha preso le mosse dall’affermazione di una ragazzina di otto anni, stupita di un avviso parrocchiale che invitava i bambini a partecipare alla lavanda dei piedi del Giovedì santo con i piedi puliti. “Lavare dei piedi puliti – gli disse la bambina – sono capaci tutti di farlo!”. Che cosa c’è di eccezionale in questo? Dov’è la differenza cristiana? Don Marco ha capito il senso di questa innocente provocazione quando un Giovedì santo, senza preavviso, ha lavato i piedi ai suoi carcerati: in quel momento, davanti a quei piedi segnati e sporchi, ha capito la forza e il significato del gesto di Gesù. Lì ha compreso che il vangelo è capace di stupire e di trasformare le persone: “Bisogna lasciarsi sorprendere da Cristo: i miei carcerati – ha detto – si commuovono a messa e invece la gente nelle nostre celebrazioni no, perché si è abituata…”.

L'incalzante riflessione di don Marco ha regalato interrogativi spiazzanti. “Cristo coglie di sorpresa – ha detto – e noi oggi facciamo fatica a vedere nei ragazzi lo stupore”. Forse perché la nostra fede è diventata un’abitudine e viene da chiedersi: “Se questa fede non ha cambiato me, come puoi pretendere che cambi un altro”.

Una delle tentazioni che il maligno cerca di mettere nel cuore dell’uomo è abituarsi – cioè non sorprendersi più – alla bellezza: “Lì c’è Cristo – ha detto don Marco richiamando una recente catechesi di papa Francesco – e noi ci annoiamo”. Dalla noia alla tristezza e all’infelicità il passo è breve: “Sono triste e ho paura” – dicono i carcerati di don Marco – e quando uno è triste è capace di tutto, come di lasciarsi affascinare dal male.

Parafrasando la pagina del giovane ricco, don Marco si è soffermato sulla domanda rivolta a Gesù: “Che cosa mi manca? Il giovane ha scoperto che gli mancava qualcosa”. Bisogna risvegliare nei giovani il senso della mancanza: “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”. Sono parole del poeta Mario Luzi, che vogliono dire: “Cuore, sento che ti manca qualcosa, ma che cosa è che ti manca?”. Accorgersi di questo vuoto – che manca qualcosa – è l’inizio di una ricerca: il primo passo per attuarla.

E poi lo sguardo: “Credo non perché vedo, ma perché sono stato visto”. Sono le parole di un altro poeta, il “teologo” preferito di don Pozza: Erri De Luca. Tutto il vangelo è un gioco di sguardi: sguardi di Gesù, innanzi tutto, che fissa ed ama. “Io non ho visto – ha ribadito don Marco – ma so che sono sempre visto da un Dio in borghese”. “La luna di pomeriggio – scrive Calvino – nessuno la guarda. Ed è quello il momento in cui avrebbe più bisogno del nostro interessamento, dato che la sua esistenza è ancora in forse. È un’ombra biancastra che affiora dall’azzurro intenso del cielo, carico di luce solare. Chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza?”. C’è bisogno di sguardi pieni di affetto nei confronti dei giovani: è quello sguardo che permette alla luna di splendere e ad una vita di fiorire. E infine non bisogna avere paura né della propria umanità né della propria fragilità, perché “la tua vergogna è quello che ti salva”. I giovani cercano la verità, non la perfezione: uomini veri, non perfetti. na serata intensa, quella che ha testimoniato don Marco. Una serata in cui ha messo in gioco se stesso, con tutta la sua energia, con quello che è, nelle sue luci e nelle sue ombre, rischiando di piacere ma anche di non piacere. In ogni caso, era proprio lui, con tutta la passione per Dio e per gli uomini di cui è capace. Forse è questa – quella dell’autenticità – la strada per avviare un discorso con i giovani e per accendere in loro il desiderio di mettersi alla ricerca di Gesù.

Alessio Magoga

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