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La vicenda del piccolo Charlie nel cuore di molti

L'editoriale del numero de L'Azione di questa settimana.

La vicenda del piccolo Charlie nel cuore di molti

Questo era il sogno più grande di Connie e Chris Gard: portare a casa il loro Charlie per farlo dormire, almeno una volta, nella culla presa per lui. I giudici hanno detto no. A nulla sono valse le testimonianze di solidarietà. A nulla il milione di sterline raccolto per rendere possibili il volo e il tentativo di una cura in America. La retorica è una china pericolosa verso la quale, tuttavia, spingono le troppe domande senza risposta. È l’incapacità di comprendere fino in fondo quei quattro no che i genitori hanno ricevuto dai tre gradi di giudizio inglese e dalla Corte europea.

Mettiamo in conto di non comprendere a pieno la questione medica, che ha le sue solide ragioni. Medici, non orchi: è una convinzione. Aggiungiamo l’incapacità di accettare la morte dei nostri cari, tanto più se riguarda un piccolo che spalanca scaturigini di tenerezza. Fatto il mea culpa, però, restano le domande. Le risposte date hanno parole che non bastano a comprendere fino in fondo la questione.

La prima: perché le cure devono essere interrotte? La spiegazione data è che infliggono a Charlie una sofferenza troppo grande. Ma allora i cattivi sono quanti cercano la vita? I genitori e il “Charlie’s Army”, l’esercito di Charlie, formato da quanti hanno versato del denaro per la cura? E che ora pregano e sperano per lui? La seconda: perché negare la possibilità di un estremo tentativo fuori dal Regno Unito, dal momento che nessuna spesa avrebbe gravato sulla sanità inglese?

Oltre un milione di sterline è stato raccolto per un viaggio della speranza poi negato. Neanche per liberarsi del caso hanno pronunciato un sì. 

La terza: arrivando ad accettare la fine del loro piccolo, i genitori hanno chiesto di poterlo almeno portare a casa. Ma anche questo è stato negato. Non era solo un trasferimento. Era la possibilità di ritrovarsi famiglia nell’intimità della propria casa e non di una stanza d’ospedale. Se morte deve essere, perché in ospedale secondo procedura e non a casa secondo natura?

È questa sfilza di no che non si comprende. Che scavalca l’uomo, si fa disumana. In nome di che? Non di un risparmio: i soldi c’erano. Per la certezza della diagnosi? Ma in Italia è spuntato il caso Emanuele, che pare non difforme da Charlie e ha nove anni. E se anche questa fosse un’eccezione, non è scopo della ricerca andare oltre il conosciuto, trasformare le speranze in cure? E ancora: perché questa fretta d’eseguire, anche se poi ritardata di non si sa quanto?

C'è qualcosa che sfugge. In Europa c’è chi lotta sostenendo che non si può imporre la vita quando diventa solo pena senza miglioramento. Ma si può, adesso, imporre la morte?

Quante domande scatena Charlie. Ci lasciano sulla soglia del mistero, smarriti tra bene e male, giusto e ingiusto. Ma con un tormento dentro che non trova pace. In tanti sono intervenuti. I vescovi della Conferenza episcopale inglese hanno dichiarato: “Mai si deve agire per porre fine deliberatamente alla vita”. Papa Francesco ha ricordato che “la vita umana, soprattutto quando è ferita dalla malattia, è l’impegno d’amore che Dio affida ad ogni uomo” e poi ancora: “Auspico che il desiderio dei due genitori di Charlie di curare e accompagnare fino alla fine il loro bambino sia rispettato. Io prego per loro”.

Gianluigi Gigli, medico e presidente del Movimento per la vita, ha usato le parole più dure: “Se sarà staccato il respiratore, sarà eseguita una condanna a morte di un bambino innocente”. Sul web, “pray4Charlie” (letteralmente: “prega per Charlie”) registra giornalmente le veglie di preghiera per lui. L’Italia domina: da Genova a Molfetta, da Parma a Udine. Per lui ha scritto il patriarca di Venezia, Moraglia, presidente della Conferenza Episcopale Trivenete: “L’indignarsi – in modo pacato ma fermo – diventa il segno di una coscienza che si interroga non solo sulla doverosa qualità della vita ma anche sul suo imprescindibile valore”. Sono davvero tanti a portare Charlie nel loro cuore.

Simonetta Venturin

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