Editoriale
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Orfani della morte e della comunità

L'editorale del direttore de L'Azione don Alessio Magoga.

Orfani della morte e della comunità

“Sono orfano della morte e quindi della vita”: così recitava il testo di una canzone di qualche anno fa. Come a dire che se sei sprovvisto di una riflessione o di una cultura che trova parole e gesti per stare di fronte alla morte, rischi di perdere anche parole e gesti per dire la vita. O, per metterla in termini più radicali, se ignori sistematicamente la morte, ti ritrovi anche a ignorare la vita e quindi a vivere la tua esistenza in modo superficiale e banale.

Il cantautore intendeva esprimere proprio questo rischio, molto concreto, della nostra società che da decenni sembra voler emarginare la morte. Lo denunciava – tra i primi – anche Vittorio Messori in “Scommessa sulla morte”, uno dei libri migliori del noto giornalista. Paradossalmente si assiste poi allo strano spettacolo per il quale diventa un problema la partecipazione dei bambini al funerale di un parente o di una persona cara, mentre lasciarli in balia di se stessi a navigare tra videogiochi di guerra, in mezzo a tutto quello che di spaventevole e di mortifero si può trovare sul web, è considerato svago legittimo. Certo, va riconosciuto che in alcuni casi, in cui il coinvolgimento emotivo è molto forte, è bene che i più piccoli – e a volte non solo loro – vadano tutelati: pertanto la loro presenza alle esequie può essere inopportuna…

Ma in altri casi sembra ci sia un eccesso di protezione che non permette di fare i conti con la realtà e non fa crescere né maturare. Senza trascurare la festa delle zucche vuote, con i conseguenti macabri travestimenti: anche in questo caso nessun trauma, perché è puro divertimento. Tornando alle cose serie, non è così difficile affrontare il tema della morte con i bambini. La fede – per chi ce l’ha, per chi ci crede – offre delle parole “sensate” per dare risposta agli interrogativi dei più piccoli e per fare intuire loro che c’è una vita anche dopo questa vita: chi muore continua a vivere un’esistenza felice da un’altra parte, non da solo ma in una comunione, e continua anche a rimanere in contatto con noi. Lo possiamo dire ai bambini. Possiamo dirlo anche a noi stessi, se abbiamo il coraggio di guardare in faccia il mistero della morte e prendiamo sul serio le parole che la nostra fede ci consegna. Parole ricche di speranza e di senso. Parole importanti, che non ci fanno restare muti e disorientati di fronte a quello che è lo sbocco naturale di ogni esistenza.

La festa di Ognissanti e la commemorazione dei fedeli defunti, con i propri riti, diventano l’occasione per tornare sul mistero della morte – e della vita –, per guardarlo da cristiani con gli occhi della fede. Proprio a questo mira il documento della Congregazione per la dottrina della fede recentemente edito: “Ad resurgendum cum Christo”, dalle prime parole dello scritto (“Per risorgere con Cristo”). È un breve testo – due paginette in tutto – che affronta il mistero della morte dalla prospettiva cristiana, soffermandosi sulla sepoltura e sulla conservazione delle ceneri in caso di cremazione. Come risulta dalle prime reazioni dei media, il documento sta suscitando vivo interesse e un’eco ampia. Anche perché tocca delle corde particolarmente vive e delle prassi che si stanno ormai consolidando. Il documento sottolinea l’importanza del corpo e della dimensione comunitaria – non privatistica – della morte: è questo il senso del divieto della dispersione o della conservazione in abitazione privata delle ceneri dei defunti.

Il corpo, attraverso il quale ci mettiamo in relazione con gli altri, e la comunità, ovvero l’intreccio di legami dentro cui ogni cristiano è generato e sviluppa la propria esistenza, vanno onorati durante la vita, certamente, ma anche nella morte. L’individualismo, che ci rende orfani della comunità, rischia di oscurare il nostro sguardo e di non farci cogliere il valore di queste realtà che la tradizione cristiana da sempre riconosce e apprezza.

Alessio Magoga

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