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Scomunicare i corrotti

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

Scomunicare i corrotti

Non passa giorno in cui non si senta parlare di qualche episodio di corruzione nel nostro Paese. Se ci confrontiamo con gli altri Stati europei, peggio di noi stanno solo Grecia e Bulgaria. Lo rivela l’annuale indagine di Transparency International, resa nota il gennaio scorso, che conferma il terz’ultimo posto dell’Italia per quanto riguarda l’Indice di corruzione percepita nel settore pubblico e politico del 2016. «Non siamo più ultimi in Europa: siamo terz’ultimi, sempre in zona retrocessione e l’obiettivo è quello di salire»: commentava Raffaele Cantone, presidente della sede dell’Autorità nazionale anticorruzione, con una certa amarezza pur riconoscendo i lievi passi in avanti.

Gli episodi di corruzione non sono appannaggio di qualche regione italiana (magari del Centro o del Sud come una certa retorica vorrebbe far credere), ma riguardano anche il nostro laborioso e un tempo “bianco” Veneto. Tanto per citarne uno di recente: da una costola della maxi inchiesta sul capitolo Mose – il complesso sistema di dighe mobili per impedire l’innalzamento delle acque nella laguna di Venezia – stanno venendo a galla tangenti per 250 mila euro che sembrano coinvolgere funzionari dello Stato e imprenditori di Veneto e Friuli. E che dire del capitolo – tutto nostrano – delle “banche venete”? Se non si tratta di corruzione vera e propria, i fatti che hanno messo sul lastrico diversi nostri concittadini sono espressione di un malcostume e di una leggerezza nella gestione dei beni altrui che imbarazza.

Manifestazione di corruzione però sono anche le piccole prassi “avvelenate” che riguardano le scelte di tutti i giorni dei normalissimi cittadini. Non premurarsi di chiedere lo scontrino, non fare fattura per avere qualche sconto, fare qualche regalo a chi è preposto al controllo in cambio di qualche agevolazione... Ma anche gettare i rifiuti lungo i bordi delle strade per non pagare il dovuto è espressione della stessa logica corrotta tipica dei “furbetti”, che guardano al tornaconto personale e se ne infischiano del danno che arrecano alla comunità. La corruzione in definitiva è proprio questo: mettere se stessi prima degli altri, ricorrendo ad ogni mezzo pur di arrivare al risultato. La corruzione così ha sempre un immediato risvolto negativo sul versante comunitario, che viene pagato dalla collettività e in specie dalle fasce più deboli.

La Chiesa ha viva coscienza della drammaticità della corruzione e delle sue conseguenze sulla società. Lo scorso 15 giugno in Vaticano si è tenuto un dibattito che ha visto la partecipazione non solo di religiosi, ma anche di politici e magistrati, impegnati nella battaglia per la giustizia. Il gruppo di lavoro che ha dato vita al convegno sta provvedendo anche all’elaborazione di un testo condiviso che guiderà delle future iniziative. Tra queste si segnala la possibilità della scomunica per corruzione e associazione mafiosa. Già, la scomunica, vale a dire l’esclusione dalla comunità ecclesiale e dai sacramenti: la pena più grave che la Chiesa possa infliggere ai suoi figli perché si ravvedano e si convertano.

Tornano in mente la durissime parole di Giovanni Paolo II, pronunciate ad Agrigento il 9 maggio del 1993 e rivolte ai mafiosi: “Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è via, verità e vita. Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio!”. Non ci si può dire cristiani e accettare il compromesso con la malavita e la corruzione, in tutte le sue forme anche quelle che possono apparire più lievi. Il credente deve essere consapevole della novità di vita che la fede esige, pena la profanazione del vangelo. Per cambiare bisogna riconoscere l’origine spirituale del problema, che “germoglia nel cuore dell’uomo”, e agire insieme, come ha scritto recentemente papa Francesco nella prefazione al libro del card. Turkson sulla corruzione: “Dobbiamo lavorare tutti insieme, cristiani, non cristiani, persone di tutte le fedi e non credenti, per combattere questa forma di bestemmia, questo cancro che logora le nostre vite”.

Don Alessio Magoga

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