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America Latina, dove la quarantena in casa è un privilegio di classe

I pericoli in quel continente con il contagio da Coronavirus. Intervista al latonamericanista Diego Battistessa, dell'Università Carlos III di Madrid

America Latina, dove la quarantena in casa è un privilegio di classe

Dal continente dell’immaginario al continente chiuso per coronavirus, il passo è stato breve. C’è un’intera area del mondo globalizzato nel quale siamo cresciuti attraverso le nostre letture (da Edmondo De Amicis a Luis Sepúlveda, da Jorge Luis Borges a Gabriel García Márquez) e i nostri viaggi nelle spiagge brasiliane o lungo la cordigliera andina o il Rio delle Amazzoni, dal Messico alla Patagonia, sta scomparendo dalle rotte informative oltre che turistiche. Il luogo dei nostri viaggi e dei nostri sogni, il luogo dell’immaginario, del caffè e del mango, del pallone e della samba, degli Inca e degli Indios.

L’America latina ha vissuto una convulsa fine dell’anno scorso con manifestazioni popolari e scontri in Cile, Ecuador e Colombia e con il colpo di stato in Bolivia, senza dimenticare le tensioni in Brasile e Perù e le conseguenze della guerra economico-finanziaria e commerciale degli Stati Uniti contro il Venezuela e Cuba.

Nonostante le fake news che il virus abbia meno incidenza nelle zone “calde”, tropicali ed equatoriali, si registrano in America latina già oltre 6mila contagi e più di un centinaio le vittime. I numeri in apparenza contenuti potrebbero però non illustrare pienamente la diffusione della pandemia per la carenza di tamponi e per le difficoltà di accesso al sistema sanitario della maggior parte della popolazione.

Per avere uno sguardo ad altre latitudini su questa pandemia e cercare di approfondire la situazione nel continente sud-americano abbiamo chiesto di aiutarci a Diego Battistessa (nella foto), latinoamericanista, specializzato in Diritti Umani e Migrazioni, attualmente docente e ricercatore presso l’Istituto di studi internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” dell’Università Carlos III di Madrid.

Primo nella tragica classifica degli infettati (2.247 al 25 marzo 2020) è il Brasile dell’ex “negazionista” Jair Bolsonaro. Per settimane, il presidente ha definito il virus «una fantasia», nonostante il primo caso "latinoamericano" di Covid-19 sia stato registrato in Brasile il 26 febbraio. La prima morte per infezione nella regione è stata annunciata invece in Argentina il 7 marzo. ll Covid–19 ci ha messo poco più di tre settimane per estendersi in tutto il Continente.

Battistessa, potrebbe tracciarci una breve mappa del contagio che attraversa tutta la regione latinoamericana?

Non si può dare una lettura omogenea del contagio. Possiamo dire che attualmente ci siano almeno 4 tendenze che rispecchiano diverse gestioni della pandemia: 1) messicana, 2) brasiliana, 3) argentina, 4) andina.

In Messico (405 casi) stiamo vedendo una totale mancanza di presa di coscienza della gravità e del pericolo che la situazione coronavirus può comportare, una percezione forse figlia del basso numero di contagi: fino ad oggi. In Brasile invece vi è la tendenza a minimizzare il problema. L’Argentina (387 casi) sta utilizzando un sistema di risposta rapido e integrale che assomiglia di più alle misure che vengono prese in Europa e sta lavorando molto sulla prevenzione, adottando anche delle forti misure in campo economico. Nelle zone andine – anche per la morfologia del territorio - la situazione risulta più convulsa e apre a scenari ancora più complessi (Cile 922 casi, Perù 416 casi, Ecuador 1082 casi).

In America latina la salute pubblica non possiede un livello di capacità di risposta così strutturato e moderno come può avere in paesi come Spagna e Italia. Questo non vuol dire che non esista una sanità privata che capace di offrire un trattamento efficace alle parti della popolazione che se lo possono permettere. Come ben sappiamo vi è un divario di classe enorme che rende la forbice della disuguaglianza sociale un alleato del coronavirus. I ricchi avranno accesso a cure mediche di qualità, le fasce più povere intaseranno una sanità pubblica che vedrà la sua capacità di risposta presto saturata.

Oltre alla gestione del problema in ordine sparso, quali altre caratteristiche hanno in comune i Paesi latino-americani rispetto al Covid-19?

Uno dei principali elementi di preoccupazione della comunità internazionale rispetto al contagio da coronavirus in America latina è rappresentato dai due grossi movimenti migratori che attraversano la regione: dal triangolo nord (El Salvador, Honduras e Nicaragua) verso il Messico per poi arrivare negli Usa, e dal Venezuela verso il resto dell’America del Sud (principalmente Colombia, Brasile Ecuador e Perù).  Questi movimenti migratori che contano milioni di persone, si trasformano in veicoli incontrollati di contagio. Tutto questo si aggiunge alla situazione di vulnerabilità delle popolazioni indigene che già soffrono in molti paesi, una situazione di particolare violazione dei lori diritti nonché una mancanza di accesso ai beni di prima necessità.

Per far fronte all’emergenza  Covid-19 , il governo italiano ha predisposto l’aumento dei posti letto, che era al di sotto della media dei Paesi Ocse. Prima dell’emergenza c’erano 3,2 posti letto ogni mille abitanti in Italia, 4,7 in media negli altri Paesi Ocse. Quale è la situazione dei posti letto nella regione?

Il Messico ha 1,5 posti letto ogni mille abitanti, contro i 2,2 del Brasile e i 5 dell’Argentina.

Per capire bene questi dati dobbiamo però tenere conto del livello della sanità pubblica in questi Paesi e le limitate possibilità di accesso da parte delle popolazioni rurali e indigene ai centri di salute.  Per fare un esempio, il dato del Messico (1, 5 posti ogni mille abitanti) non si applica in modo omogeneo per la sua popolazione di 130 milioni di persone. Sempre in Messico la titubanza del presidente Andrés Manuel Lopez Obrador in questo momento cruciale, lascia in allarme la comunità internazionale e soprattutto i Paesi vicini.

(In Veneto prima del virus erano disponibili 3,5 posti letto ogni mille abitanti e i 5 nel vicino Friuli; dall’inizio dell’emergenza i posti disponibili sono più che raddoppiati, ndr)

Solo alcuni giorni fa, l’improvvisa inversione di rotta del governo brasiliano che ha decretato la chiusura delle frontiere terrestri per quindici giorni. In un impeto di zelo, il presidente voleva chiudere anche quella con il Cile che, però, non esiste poiché i due Paesi non sono confinanti. Qual è la situazione in Brasile?

Ci troviamo in una situazione un po’ grottesca. I casi continuano ad aumentare e dal governo centrale brasiliano non vengono prese misure sanitarie unitarie, bensì attualmente si tende a minimizzare la questione. Di fatto le misure che sono state prese in Brasile rispetto alla possibile quarantena sono state prese in autonomia dalle comunità o dalle città. Ci troviamo in una situazione asimmetrica rispetto a quello che sta succedendo in altri Paesi: le persone (che possono) si stanno mettendo in autoquarantena prescindendo da quello che sta dicendo il loro Presidente!

Come ben possiamo immaginare non è la stessa cosa vivere – e quindi accedere alla sanità pubblica – in una zona rurale dell’Amazzonia o vivere nella grande metropoli di San Paolo, senza dimenticare che il Brasile è il paese con una delle più grandi brecce sociali del mondo (disuguaglianza tra ricchi e poveri). Il Brasile è il Paese con il maggior numero di casi accertati e sconcerta la mancanza di presa di coscienza da parte di Jair Bolsonaro del devastante potenziale che questa emergenza porta con sé.

Cosa significa tutto questo sotto il profilo dei diritti e delle tutele per i popoli indigeni della regione?

Una delle cose che preoccupa di più è la situazione delle popolazioni indigene rispetto a questo tipo di patogeno perché se da un lato le popolazioni indigene di per sé sono più esposte a contagi che possono arrivare dall’esterno (parlando soprattutto delle popolazioni che vivono in semi-isolamento), dall’altro esse già vivono nella maggioranza dei casi, una situazione di precarietà economica e sanitaria. Ridotta libertà di movimento, mancanza di accesso ai presidi medici, più alta esposizione alla letalità del virus, impossibilità di continuare le attività economiche di sussistenza e isolamento dai centri decisionali di potere: un mix di fattori che prospetta la possibilità di un’ecatombe! Si potrebbe tornare a vedere un po’ quello che è successo 500 anni fa con l’arrivo dei primi europei nelle Americhe.

Nel rapporto tra densità abitanti per kmq e numero di contagiati la situazione più critica la troviamo in Ecuador con più di 1000 infettati. Come è la situazione in questo Paese andino dove il suo presidente, Lenin Moreno, ha dichiarato l’emergenza sanitaria e chiuso tutte le scuole?

L’Ecuador in questo momento ha 1082 infettati concentrati principalmente nella provincia del Guayas che si trova a sud del Paese andino. Per uno storico antagonismo interno tra la capitale di questa provincia, Guayaquil, e la capitale del Paese,  Quito,  le disposizioni nazionali già poste in essere dal governo centrale da fine febbraio non sono state implementate in modo omogeneo. In questo momento la sanità pubblica non è in grado di affrontare una crisi come quella che si prospetta. Basti pensare che sono disponibili 1,5 posti letto ogni 1000 abitanti e che con fatica il Paese si stava risollevando dal tragico terremoto del 2016 (seguito da un altro lo scorso anno). Il governo del presidente Lenin Moreno, bersaglio di dure manifestazioni sociali a fine 2019, ha dichiarato l’emergenza nazionale e dure misure sociali ed economiche per affrontare la crisi.

In Ecuador dobbiamo inoltre considerare che esistono 4 zone climatiche diverse (Amazzonia, Ande, Costa e Galapagos) con differenti livelli di infrastrutture che limitano in molti casi gli spostamenti e le possibilità di approvvigionamento. Questo fa in modo che le molte zone rurali risultino più isolate e che possano contare solo su quelli che vengono chiamati ‘subcentros de salud’, piccoli dispensari con poco personale medico che in caso di contagio non verrebbe probabilmente sostituito. La diffusione del contagio sta aumentando con una delle tendenze più alte in tutta la regione.

 

Quali sono le conseguenze in paesi già vulnerabili sotto il profilo della tutela della salute per la stragrande maggioranza della popolazione?

Per la maggioranza della popolazione non sarà possibile sostenere una quarantena in casa perché vive in abitazioni che sono ‘catapecchie’, devono lavorare per poter mangiare ogni giorno, e vivono per lo più nell’informalità non godono di tutele pubbliche in ambito lavorativo come ci potrebbero essere da Italia o Spagna (cassa integrazione, mobilità straordinaria, sussidi, ecc.).

Nell’America latina si stima che un lavoratore su due non abbia un contratto di lavoro ma che sopravviva grazie a impieghi saltuari come ambulante, lustrascarpe, raccoglitore di rifiuti, bracciante agricolo, o manovale nel settore delle costruzioni.

La gestione del coronavirus avrà delle ricadute sociali che modificheranno la percezione dell’efficacia della democrazia in questi paesi, anche a seguito di limitazioni alla libertà di movimento che potrebbero essere imposte alla popolazione. La parola crisi e il in concetto di emergenza nazionale, sono stati spesso usati dai governanti in America Latina per introdurre misure tutt’altro che passeggere e che hanno avuto delle conseguenze nefaste sulle fasce più deboli della popolazione. La democrazia (un concetto non speculare rispetto a quello che utilizziamo ad esempio nella UE) che ha compiuto da poco 40 anni nella regione, dovrà resistere e riformarsi cercando di non soccombere al protrarsi degli stati di emergenza e alla militarizzazione degli spazi pubblici: elemento quest’ultimo molto più comune (anche in tempi di normalità) in America Latina che in Europa.

È importante ricordare che da anni, come in Africa con la malaria, in America latina si è alle prese anche con un’altra epidemia, la “dengue”. Questi virus – con migliaia di vittime ogni anno – si diffondono attraverso le zanzare e tendono a proliferare soprattutto in condizioni igieniche insalubri diversamente dal Covid-19 che come abbiamo visto è una sindrome di tipo respiratorio. Per tutte queste ragioni l’hastag #iorestoacasa in America latina è un privilegio di classe!

Enrico Vendrame

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