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CARITAS: un’occasione per ricominciare

Dal 2020 accoglie persone che devono svolgere lavori di pubblica utilità

CARITAS: un’occasione per ricominciare

Sono circa una ventina, attualmente, le persone che hanno chiesto di svolgere un lavoro di pubblica utilità (lpu) nei servizi e nelle strutture della Caritas diocesana. Sono uomini e donne che hanno commesso dei reati di non eccezionale gravità e che non hanno uno stile di vita delinquenziale (tecnicamente si parlerebbe altrimenti di “delinquente abituale”). Al giudice chiamato a valutare il loro comportamento, hanno chiesto, all’inizio del procedimento, di scontare il loro debito verso la società svolgendo attività a favore della comunità. Lo Stato, dal canto suo, sta promuovendo questo tipo di percorso per agevolare lo smaltimento dell’imponente mole di processi che affollano i tribunali.

«Nel 2020 Fondazione Caritas, con l’allora presidente don Roberto Camilotti, ha sottoscritto una convenzione con il Ministero della Giustizia per accogliere persone che devono svolgere lavori di pubblica utilità – spiega il direttore Caritas don Andrea Forest –. Sono anch’io convinto dell’opportunità di mantenere in vigore questa convenzione, perché condivido l’idea di offrire un’alternativa diversa dal carcere o da pesante pena pecuniaria, a persone che nella vita hanno commesso degli sbagli non particolarmente gravi. I dati infatti ci dicono che coloro che accedono alle misure alternative al carcere hanno una percentuale di recidiva, cioè tornano a commettere reati, molto più bassa di coloro che scontano la pena in carcere. Tutto ciò conferma che è più efficace la possibilità di recupero della persona mediante la relazione e l’accompagnamento, più che non con una dura pena da infliggere. Del resto, in questo senso va anche tutta la riflessione che ha guidato pure la recente riforma della giustizia, imperniata sul concetto di “giustizia riparativa”».

Il percorso parte dall’imputato che chiede di svolgere un lpu. Se rientra nei casi previsti dalla legge, il giudice chiede a un ente convenzionato di prendersi in carico la persona. A questo punto, nel caso di Fondazione Caritas i referenti di questo ambito fanno un colloquio con la persona per verificare se adatta a svolgere uno dei servizi disponibili (dal lavoro agricolo con la cooperativa Terramica alla collaborazione nella cura di Casa Murialdo a Conegliano, ad attività manuali e piccole manutenzioni in sede o alla Casa dello studente a Vittorio...). Uno degli aspetti da valutare è l’orario di servizio: «Il monte-ore varia da caso a caso, in genere siamo sulle 120 ore – osserva don Andrea –, e ci sono delle regole da rispettare nell’articolazione dell’orario. Spesso si tratta di persone che lavorano e quindi bisogna conciliare i loro orari con i nostri. A Casa Murialdo, ad esempio, il servizio è dalle 18 in poi».

«La nostra esperienza finora è positiva – spiega don Andrea –. Salvo qualche episodio spiacevole, in genere le persone si sono comportate correttamente. Molto bello il fatto che alcuni utenti impegnati nei lavori di pubblica utilità restino legati alla Caritas anche una volta concluso il percorso obbligatorio, impegnandosi come volontari a tutti gli effetti, come è accaduto ad esempio presso Casa Murialdo a Conegliano. Anche per gli operatori della Caritas è un’esperienza importante perché consente di mettersi al fianco di persone che devono, in un certo senso, “risarcire” la comunità ma anche desiderano “ripartire”. Conoscendo queste situazioni, si comprende che davvero può capitare a tutti di sbagliare, e tuttavia ciò può costituire un’occasione di crescita e di maturazione, perché anche di fronte a un errore possono nascere nuove possibilità di riscatto».

Federico Citron

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