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CHIESA: L'omelia di Papa Francesco a Santa Marta

Francesco: “Il Signore si avvicinerà con la tenerezza di un padre, di un fratello” 

CHIESA: L'omelia di Papa Francesco a Santa Marta

“Il Signore ci consola sempre, a patto che noi ci lasciamo consolare”. Lo ha detto il Papa, nell’omelia della messa celebrata oggi a Santa Marta. “Come consola, il Signore?”, si è chiesto Francesco, secondo quanto riferisce Vatican news: “Con tenerezza. Come corregge, il Signore? Con tenerezza. Come punisce, il Signore? Con tenerezza”. “Il Signore conduce, il Signore guida il suo popolo, il Signore corregge; anche, io direi: il Signore punisce con tenerezza”, ha spiegato il Papa: “La tenerezza di Dio, le carezze di Dio. Non è un atteggiamento didattico o diplomatico di Dio: gli viene da dentro, è la gioia che Lui ha quando un peccatore si avvicina. E la gioia lo rende tenero”.

Il Santo Padre ha ricordato ancora una volta la parabola del Figliol Prodigo e il papà che “vide da lontano” il figlio: perché lo aspettava, “saliva sul terrazzo per vedere se il figlio ritornava. Cuore di padre”. E quando arriva, e comincia “quel discorso di pentimento”, lui gli tappa la bocca e fa festa. “La vicinanza tenera del Signore”, ha commentato ancora il Papa. Nel Vangelo torna il pastore, quello che ha cento pecore a una si smarrisce. “Non lascerà le 99 sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?”, la citazione di Francesco. E “se riesce a trovarla si rallegrerà per quella più che per le 99 che non si erano smarrite”. Questa è “la gioia del Signore davanti al peccatore”, “davanti a noi quando ci lasciamo perdonare, ci avviciniamo a Lui perché ci perdoni”. Una gioia che “si fa tenerezza, e quella tenerezza ci consola”. “Tante volte – ha fatto notare il Papa – noi ci lamentiamo delle difficoltà che abbiamo: il diavolo vuole che noi cadiamo nello spirito di tristezza”, “amareggiati della vita” o “dei propri peccati”.

“Ho conosciuto una persona consacrata a Dio che chiamavano ‘Lamentela’, perché non riusciva a fare altra cosa che lamentarsi”, era “il premio Nobel delle lamentele”, ha raccontato: “Ma quante volte noi ci lamentiamo, ci lamentiamo e tante volte pensiamo che i nostri peccati, i nostri limiti non possono essere perdonati. E lì, la voce del Signore viene e dice: ‘Io ti consolo, sono vicino a te’, e ci prende con tenerezza.

Il Dio potente che ha creato i cieli e la terra, il Dio-eroe, per dirla così, fratello nostro, che si è lasciato portare alla croce a morire per noi, è capace di accarezzarci e dire: “Non piangere”.“Con quanta tenerezza – ha proseguito il Papa – il Signore avrà accarezzato la vedova di Nain quando le ha detto: ‘Non piangere’. Forse, davanti alla bara del figlio, l’ha accarezzata prima di dirle ‘Non piangere'”. Perché “c’era il disastro, lì”. “Dobbiamo credere a questa consolazione del Signore”, perché dopo “c’è la grazia” del perdono, l’invito. “Padre, io ho tanti peccati, tanti sbagli ho fatto, nella vita” – “Ma lasciati consolare” – “Ma chi mi consola?” – “Il Signore” – “E dove devo andare?” – “A chiedere perdono: vai, vai! Sii coraggioso. Apri la porta. E Lui ti accarezzerà”. “Lui si avvicinerà con la tenerezza di un padre, di un fratello”, ha assicurato il Papa: “come un pastore fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri, così il Signore ci consola”.

Fonte: AgenSIR
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