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CORONAVIRUS: chiuse il 61,6% delle imprese artigiane venete

Per lo stop imposto dai decreti, a casa 188 mila addetti

CORONAVIRUS: chiuse il 61,6% delle imprese artigiane venete

Per il combinato disposto dei due DPCM dell’11 e 22 marzo scorsi, sono 77mila700 le imprese artigiane del Veneto chiuse dalla mezzanotte di 25 marzo 2020. Un numero che secondo l'Osservatorio della Confartigianato Imprese Veneto vale il 61,6% del totale in Veneto (126mila circa)

I settori maggiormente colpiti dalla chiusura sono: l’edilizia (esclusi gli installatori di impianti che possono operare) con 37.320 aziende chiuse, seguite dal comparto del benessere 12.128, dalla metalmeccanica con 10.368, la moda 5.824, il legno/arredo con 5.794 e l’artistico con 2.799 attività chiuse.

Sul fronte degli addetti che restano senza lavoro, in totale in regione, le aziende artigiane lasciano a casa 188.352 persone tra dipendenti, titolari, soci e collaboratori familiari, pari al 57,5% del totale dell’artigianato veneto. In questo caso il settore più coinvolto in termini assoluti è sempre l’edilizia con 62.500 persone seguito dalla metalmeccanica 44mila, la moda 25mila, il benessere con 24.300, il legno/arredo con 18mila e 7.500 quelli che operano nell’artistico.

 

“E’ fondamentale che nelle prossime ore il Parlamento, in fase di conversione del decreto Cura Italia - afferma Agostino Bonomo Presidente di Confartigianato Imprese Veneto - accolga il più possibile gli emendamenti proposti dalla Confartigianato e tenga conto anche di queste ulteriori nuove limitazioni. Devono essere previsti stanziamenti dedicati a integrazione degli esistenti per sostenere le imprese. 

Ad oggi in Veneto sono state 6.700 le imprese che hanno aperto la procedura per usare FSBA tutelando 27.000 dipendenti, siamo già al 20% di aziende artigiane e loro dipendenti in cassa integrazione. Un numero mai raggiunto nemmeno nella grande crisi del 2011/2013 e destinato solo ad aumentare con la prevista chiusura delle tante attività produttive non “indispensabili” programmata dal 26 marzo e dall’impossibilità nel mondo dipendente artigiano, dove l’80% sono operai, di continuare a lavorare in modalità smart working”. 

“In questo momento -conclude Bonomo- è fondamentale un grande senso di responsabilità da parte di tutte le parti sociali, affinché le imprese che oggi sono autorizzate ad operare possano farlo con serenità e in sicurezza, tenendo presente sempre che non possiamo permetterci oggi di arrestare del tutto il sistema produttivo se non a costo di una grave crisi occupazionale domani. Va infine previsto con provvedimento unico, chiaro ed inequivocabile, che i titolari delle imprese possano andare nella propria impresa per vigilare i macchinari e la sicurezza degli impianti”.

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