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DE STEFANI: misure straordinarie e tutela delle libertà

"Mai come in questi momenti di crisi dovremmo apprezzare l’imperfetto ma resistente sistema di libertà e diritti in cui viviamo"

DE STEFANI: misure straordinarie e tutela delle libertà

Dal 31 gennaio 2020, con una decisione presa dal nostro governo sulla base della legge italiana del 2018 sulla protezione civile, il nostro paese è in stato di emergenza. La durata dell’emergenza è stata fissata in sei mesi. È nel quadro di questa emergenza sanitaria che l’esecutivo di Giuseppe Conte sta adottando la serie di decreti che, in modo via via più incisivo, ha ristretto le nostre libertà.

Tutti gli stati – e l’Italia in verità in modo molto discreto e parziale – hanno leggi che stabiliscono che cosa fare in caso di emergenza. Nell’ordinamento italiano, molte leggi in questa materia risalgono al periodo fascista, quando le eccezioni e i poteri speciali erano un po’ la regola, e risultano in gran parte incostituzionali. La nostra costituzione e le leggi repubblicane, a differenza di quanto succede in altri paesi, sono molto reticenti sulla questione dei poteri speciali da gestire in caso di minaccia estrema per lo stato. Anche la legislazione di emergenza che si è adottata negli anni 1970 e '80 per contrastare il terrorismo non aveva un inquadramento chiaro ed ha creato non pochi problemi, in parte ancora presenti. Le misure straordinarie giustificate dalle emergenze di protezione civile sono, invece, previste in modo chiaro dal testo-unico del 2018 e quanto sta accadendo in questi giorni – i decreti a raffica del governo – hanno una solida base.

Questo però non toglie che l’emergenza che il mondo sta vivendo (non solo l’Italia) ha già ora un forte impatto sui diritti di noi tutti. E siamo solo all’inizio.

Non possiamo uscire di casa. Giusto, certo. Ma per molti, questo si può tradurre in perdita del lavoro o di occasioni di lavoro (nel caso degli autonomi). E questi sono diritti sociali ed economici che vacillano. Tra i malati, alcuni rischiano di non essere curati adeguatamente perché le strutture sanitarie sono sature (e per anni si è “investito” per ridurre le prestazioni, invece che per allargarle). E qui è il diritto alla salute che ne soffre. Persino il diritto alla vita. Se interi settori produttivi sono in ginocchio (il turismo per esempio), serviranno forti ammortizzatori sociali. Altro che reddito di cittadinanza! Serve dotarsi in fretta di una misura universale di sostegno economico e di aiuto alla riconversione produttiva e professionale di portata ben più vasta. Altrimenti sono a rischio il diritto alla sicurezza sociale, alla formazione e a condizioni di vita dignitosa. In questi giorni si discute di “modello coreano” per riferirsi alla possibilità di usare applicazioni per il telefonino che aiutino a “tracciare” i movimenti di ogni potenziale portatore del coronavirus, in modo da costruirgli attorno una barriera a protezione di tutti quanti potrebbero entrare in contatto con lui. Questo significa che ciascuno di noi dovrebbe condividere con un’unica centrale una serie di dati personali (salute, spostamenti, persone che frequenta, ecc.) che sarebbe bene invece rimanessero privati. Anche questo è un rischio, perché quei dati possono andare in mani sbagliate, o essere usati, se non trattati in forma anonima, per finalità che non c’entrano nulla con l’emergenza sanitaria. La limitazione delle possibilità di riunirsi, di svolgere la nostra normale vita sociale, può finire per soffocare i nostri diritti civili e politici. I tribunali hanno sospeso le attività. Un referendum costituzionale è già stato spostato. Le prossime elezioni amministrative sono a rischio e il Parlamento si riunisce, quando va bene, una volta a settimana, e solo per ratificare i decreti del governo. Potremmo parlare di una democrazia sospesa per sei mesi.

E il nostro diritto al tempo libero? A godere della cultura e dell’arte in una forma che non sia mediata da un riproduttore elettronico (televisore, computer…)? I libri si salvano, ma tra un po’ solo gli e-book…

Queste sono solo alcune delle preoccupazioni che la fase eccezionale che stiamo attraversando fa emergere. E se questo scenario un po’ ci inquieta, che dovrebbero pensare (che stanno pensando?) quanti vivono in paesi ben più vulnerabili del nostro a questi rischi?

Mai come in questi momenti di crisi dovremmo apprezzare l’imperfetto ma resistente sistema di libertà e diritti in cui viviamo, e sentirci coinvolti nello sforzo per estenderlo il più possibile a quei paesi e a quelle società che oggi più che mai ce lo invidiano.

Paolo De Stefani

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