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DIOCESI: il vescovo Padoin, un napoletano nato in Veneto

L'esperienza a Pozzuoli ha segnato la sua vita

DIOCESI: il vescovo Padoin, un napoletano nato in Veneto

"Un napoletano nato in Veneto. Così a Pozzuoli definiscono il vescovo Silvio Padoin. È un gran bell’apprezzamento, che dice quanto sia riuscita la sua integrazione nella storia di quella diocesi e nel quotidiano del popolo di Dio che la abita. E tale è l’affetto maturato intorno a lui, che il vescovo Silvio ha deciso di restare a Pozzuoli anche dopo l’ormai prossimo “pensionamento”". Era questo l'inizio di un articolo-intervista scritto da Federico Citron nel 2005 per il nostro settimanale diocesano in occasione del 50° di ordinazione sacerdotale. In quel periodo Padoin stava per concludere il mandato di vescovo della diocesi campana. Riportiamo alcuni stralci di quel pezzo per tracciare il profilo del vescovo pievigino mancato a 89 anni tra il 30 e il 31 ottobre. «Non avevo nessuna intenzione di rimanere a Pozzuoli – raccontava monsignor Padoin – perché non volevo essere di intralcio al nuovo Pastore. Difficilmente il nuovo Vescovo e l’emerito “convivono” serenamente. Ero deciso a ritornare a Pieve o a Vittorio. Ma i preti e i laici hanno insistito perché mi fermassi a Pozzuoli. Allora ho chiesto il parere del vescovo coadiutore Gennaro Pascarella. Poiché anche lui mi ha chiesto di rimanere, ho preso la decisione di restare a Pozzuoli».

Nell'articolo si ripercorre la vita di Padoin: "A Pieve il vescovo Silvio ha visto la luce l’11 aprile 1930. Dopo aver frequentato il liceo nel nostro seminario viene mandato dal vescovo Zaffonato a Roma. Alla Pontificia Università Lateranense conseguì la licenza in Teologia e in Utroque Iure. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta a Pieve il 9 aprile 1955, insegnò per quattro anni al Pontificio Seminario Minore. Nel 1959 rientrò a Vittorio e venne nominato professore di diritto canonico e lettere in Seminario. «Nel 1960, quando sto per iniziare il secondo anno di insegnamento, il vescovo Luciani mi chiama in Castello e mi dice: “Guarda, è arrivata una lettera con cui ti convocano a Roma alla Congregazione per i vescovi”». Resterà alla Congregazione fino al 1993: «Il mio compito era di preparare la documentazione per la nomina dei vescovi». Nel 1990 viene nominato sotto-segretario della Congregazione, cioè divenne il numero “3” del dicastero. Ma la sua vita non si consuma tutta all’interno degli uffici vaticani: «Ho sempre continuato l’attività pastorale: ho seguito i ragazzi del Seminario, sono stato
assistente spirituale delle suore del Policlinico Gemelli, ho avuto la cura d’anime della parrocchia di Castel Giuliano...». Di tanto in tanto ritorna nella sua terra natale. Una volta anche con il suo capo, il cardinale Confalonieri. Con una vecchia Simca visitano i luoghi della prima
guerra mondiale. All’inizio degli anni Ottanta monsignor Padoin fu a un passo dal partire per il Kenya come missionario. «Mi portavo da tempo questo desiderio nel cuore. Andai per qualche tempo in Kenya e tornai “cotto per l’Africa”. Decisi di partire e ottenni il via libera dal Vaticano. Sennonché pochi giorni prima della partenza venni ricoverato d’urgenza al Policlinico Gemelli: me la cavai quasi per miracolo. Al piano superiore c’era papa Giovanni Paolo ricoverato a seguito dell’attentato di Alì Agca». E così, per motivi di salute, sfumò il sogno africano.
Nel 1993, a due anni dalla pensione («già mi vedevo parroco di una parrocchietta di Vittorio Veneto), monsignor Padoin viene convocato dal suo “capo”, il cardinale Gantin. Che gli comunica la decisione del Papa di inviarlo vescovo a Pozzuoli. Una realtà difficile: 500 mila abitanti, 47 preti, grossi problemi sociali. Ma il neo-vescovo è carico di entusiasmo e di idee: riapre il Seminario minore, ripristina quello Maggiore, realizza la Visita pastorale. E stimola l’impegno sociale dei cristiani. Per questa sua instancabile premura per la terra flegrea, riceve la cittadinanza onoraria del Comune di Napoli (per i due terzi la diocesi di Pozzuoli è costituita da quartieri della città partenopea). Nel conferire la cittadinanza il sindaco Iervolino enumera le tante opere sociali promosse dal Vescovo e i «suoi interventi attivi a favore del riscatto
civile e per il ripristino della legalità»".

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