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Elezioni. M5S primo partito, cosa può fare ora Di Maio. Salvini al bivio

Il candidato premier dei Cinque Stelle valuta le opzioni.

Elezioni. M5S primo partito, cosa può fare ora Di Maio. Salvini al bivio

La netta affermazione elettorale M5s, primo partito e nuovo primo gruppo parlamentare alla Camera e al Senato apre da subito la questione di un’assunzione di responsabiità istituzionale per i Cinque Stelle. In Parlamento ancor prima che rispetto al Governo, la cui maggioranza richiede tempo per essere definita. Una partita che inevitabilmente non potrà non avere come primo interlocutore il nuovo secondo gruppo parlamentare: quello della Lega targata Matteo Salvini.

Una soluzione che tiene insieme risultato elettorale, rispetto degli equilibri parlamentari ed istituzionali e l’impegno politico preso da Luigi Di Maio con gli elettori a proporre una collaborazione di governo a tutte le forze politiche in caso di vittoria elettorale M5s non autosufficiente è quella che già all’alba della nottata elettorale fa indicare in ambienti parlamentari e istituzionali la possibilità che a scendere in campo per la successione a Laura Boldrini sia direttamente Luigi Di Maio, vicepresidente uscente di Montecitorio. I Cinque Stelle sono da oggi il primo gruppo parlamentare. E toccherà sicuramente a loro, almeno in prima battuta, di provare a esprimere una candidatura per la presidenza di almeno uno dei due rami del Parlamento. La novità è la possibilità che il nome sia direttamente quello del candidato premier M5s, ora riconfermato con plebiscito a Montecitorio, viene argomentata con la possibilità che, se eletto, darebbe a Di Maio il vantaggio di essere parte attiva nelle consultazioni al Quirinale in doppia veste.

Sarebbe il primo a essere consultato al Colle da presidente della Camera una volta insediato il nuovo Parlamento. E sarebbe anche l’ultimo a essere consultato al Colle quale leader del gruppo parlamentare più numeroso. Con possibilità di richiedere al capo dello Stato quel mandato esplorativo formale a proporre a tutte le altre forze politiche un governo M5s da lui stesso presieduto, più volte reclamato in campagna elettorale in caso di affermazione M5s senza maggioranza autonoma. Ed in più il vantaggio che se il suo diretto tentativo di andare a palazzo Chigi non dovesse andare a buon fine egli resterebbe da presidente della Camera voce autorevole e influente comunque sui successivi sviluppi della legislatura.

La partita delle presidenze delle Camere – essendo la prima votazione fissata per venerdì 23 marzo – è ovviamente tutta ancora da giocare nelle prossime settimane. Ma i Cinque Stelle, forti del risultato che si profila, sono determinatissimi a giocarla da protagonisti e finalizzarla al conseguimento dell’incarico di governo che è il mandato chiesto e apparentemente ottenuto dagli elettori. Per questo giocare la carta Di Maio per la prima elezione al più alto scranno di Montecitorio in questa prima fase significherebbe da subito mettere sul tavolo accordi di governo con altre forze politiche.

I voti dei Cinque stelle saranno infatti determinanti per le scelte dei nuovi presidenti in entrambe i rami del Parlamento. E chi accetterà di votare Di Maio alla Camera all’interno di un patto complessivo sulle due presidenze delle Camere avrà dato un segno di disponibilità a vederlo poi trasferirsi a palazzo Chigi ove il mandato esplorativo riuscisse a trasformarsi successivamente in incarico pieno e magari infine in varo di una nuova maggioranza di governo.

Un patto che avrà inevitabilmente tutti i gruppi parlamentari come potenziali interlocutori. A partire dal secondo nuovo gruppo parlamentare che ora è la Lega. Per questo in ambienti pentastellati come in quelli del Carroccio già in queste prime ore di day after al candidato naturale del Carroccio per la guida di palazzo Madama, Roberto Calderoli, si è affiancato un altro nome: quello del neo senatore Matteo Salvini. Il leader della Lega è a un bivio. Tener fede al patto elettorale e chiedere a Silvio Berlusconi e a tutto il centrodestra – che in buona parte lo ha già fatto- di riconoscerlo candidato premier di tutto il centrodestra e andare a cercarsi lui in Parlamento una maggioranza (precaria) che il suo schieramento al momento non ha.

Oppure giocare in proprio rispetto agli alleati elettorali la partita sul doppio tavolo presidenze Camere-Governo. Provando a stringere un patto con Di Maio e M5s su entrambe i fronti e magari assumendo lui stesso un ruolo istituzionale in prima persona: seconda carica dello Stato. Per vedere direttamente se e a quali condizioni poter dare nella nuova legislatura anche all’Italia un Grosse Koalition fra i due nuovi principali gruppi parlamentari, come in Germania. Ma, a differenza di quanto avvenuto nello stesso giorno a Berlino, senza esponenti Ppe nè socialdemocratici.

D’altra parte, viene fatto osservare in ambienti del Carroccio, è stato lo stesso Quirinale a indicare – o quanto meno non smentire- che la maggioranza che si formerà sull’elezione dei presidenti delle Camere lo guiderà nell’incarico. E se essa coincidesse con le forze più votate dagli italiani sarebbe difficile contestarne la legittimità. Che poi Di Maio e Salvini trovino davvero un accordo nelle prossime tre settimane è una storia ancora tutta da scrivere.

Fonte ASCA

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