Il bosco, "capitale" da difendere
Intervista al nuovo comandante del reparto Carabinieri biodiversità di Vittorio Veneto, Di Cosmo
Franco Pozzebon
05/06/2019

Dalle foreste dell’Africa Nera al bosco da reme del Cansiglio. Ha un’esperienza di parchi naturali e foreste davvero vasta, internazionale, il nuovo comandante del Reparto Carabinieri Biodiversità di Vittorio Veneto. È il tenente colonnello Michele Di Cosmo, 60 anni, originario di Bari, da trent’anni in servizio effettivo al Corpo Forestale dello Stato, di recente accorpato all’Arma dei Carabinieri.Dal 1º marzo scorso è entrato in servizio nell’ufficio di via Lioni. Il neocomandante ha un curriculum ricco: dopo la laurea in scienze forestali e un master in cooperazione allo sviluppo, è per cinque anni a Pescara (nelle Riserve naturali della Maiella) e poi per quattro anni al Comando regionale di Bari. Nel 1998, per le sue specifiche competenze viene distaccato presso il Ministero degli Esteri, a Roma, come istruttore tecnico dei progetti di cooperazione internazionale di carattere agro-silvo-pastorale, ambientale e di sviluppo rurale e sicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo, inizialmente in Africa subsahariana (Burkina, Senegal, Kenya e Bacino dei Grandi laghi), poi anche in America Latina (Bolivia, ecc.) e Medio Oriente (Libano). In seguito all’accorpamento nell’Arma, nel 2019 Di Cosmo ha terminato il distacco agli Esteri, con un incarico prima al Comando Generale dell’Arma a Roma ed ora, da tre mesi, a Vittorio Veneto.Comandante, quali impressioni dopo i primi mesi a Vittorio Veneto?«Qui svolgo un lavoro che è simile a quello che svolgevo in Abruzzo. Quello di Vittorio Veneto è un ufficio storico per l’amministrazione, che fin dai tempi dell’unità d’Italia gestisce due riserve naturali ereditate dalla Serenissima: la faggeta del Cansiglio e la pecceta di Somadida. Si tratta di foreste che furono amministrate inizialmente a fini economici, per produrre legname e quindi utili. Si pensi che fino agli anni ’60-’70 in Cansiglio c’erano ben nove comandi stazione forestali. Ora abbiamo una gestione più “naturalistica”, con progetti di ricerca e studio sulla flora e fauna, monitorando anche la presenza di specie selvatiche quali il lupo, lo sciacallo dorato e l’orso».Quale è l’importanza dei parchi e delle riserve?«È innanzitutto quella della conservazione del bene, ma al contempo anche l’auspicio di svolgere una funzione di “esempio” su come si dovrebbero o potrebbero custodire le aree di interesse naturalistico. Parchi e riserve non devono essere intesi solo come aree protette “a sé stanti” o relitte, bensì rappresentare un punto di osservazione e studio: uno stimolo ad estendere la valorizzazione dei beni ambientali in generale.La mia esperienza in cooperazione internazionale mi ha fatto conoscere differenti modi di gestire le aree protette (parchi, riserve, foreste), con competenze affidate a ministeri diversi come quelli del Turismo, dell’Ambiente o dell’Agricoltura. Questo mi ha offerto la possibilità di constatare che la differenza vera tra le varie realtà osservate non è la passione degli operatori che conserva standard elevati in tutto in mondo, ma la maggiore o minore possibilità di accedere a risorse formative, umane e finanziarie tali da assicurare una adeguata gestione delle aree protette».Quali i problemi del dopo-tempesta Vaia nei boschi di vostra competenza?«Nelle zone colpite da Vaia il problema è quello di rimuovere il legname abbattuto, operazione impedita fino a pochi giorni fa dalla neve e dai lunghi periodi di pioggia, come anche dalla carenza di maestranze rispetto all’evento eccezionale. Possiamo comunque iniziare in questi giorni tenendo anche conto del rischio di infestazione da bostrico (coleottero Ips typographus) dovuto alla permanenza del legname a terra che potrebbe attaccare le piante in piedi. A Somadida abbiamo circa 3 mila metri cubi di legname da rimuovere; ma sarà difficile recuperare quello presente nelle zone impervie. Quindi si partirà prima dalle radure e poi via via si procederà nelle altre zone colpite, in modo da liberare i sentieri, tra cui in parte uno del Cai, e rendere così fruibile la foresta alle visite e alle escursioni turistiche».Cosa ci ha insegnato la tempesta Vaia?«Rappresenta un campanello d’allarme dei cambiamenti climatici. Ci insegna che bisogna cambiare modelli di sviluppo perché quelli attuali non sono più sostenibili. Se non si pone un freno, vari sono gli effetti: uragani che aumentano di numero e di intensità, come si è constatato con la tempesta Vaia; aumento delle temperature medie.Detto questo, il nostro compito di operatori dell’ambiente e di gestori di beni naturali pubblici dev’essere anche quello di insegnare ai giovani a basare lo sviluppo economico e sociale su principi di sostenibilità ambientale diversi da quelli attuali.Un’attività fondamentale del nostro Reparto è quella dell’educazione ambientale, tesa a infondere nelle giovani generazioni l’importanza della conservazione dei beni naturali facendo riferimento ai principi dello sviluppo sostenibile: uno sviluppo mirato a utilizzare il bene “foresta” senza intaccare il “capitale” che essa rappresenta».Franco Pozzebon