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Immigrati, è l’ora della responsabilità

Intervista al vescovo Corrado Pizziolo.

Immigrati, è l’ora della responsabilità

Da più parti – anche tra i nostri lettori – viene sollevata l’accusa alle gerarchie ecclesiastiche di non intervenire sul modo in cui il nuovo governo o, più precisamente, alcuni suoi rappresentanti stanno muovendosi sulla questione dei migranti. Abbiamo interpellato il vescovo Corrado, per conoscere il suo punto di vista.

«Personalmente ritengo – esordisce mons. Pizziolo – che interventi precipitosi e sull’onda dell’emotività non servano a nessuno. Inoltre, trattandosi delle prime mosse di un governo, che non è stato sicuramente sponsorizzato dalle gerarchie della Chiesa cattolica italiana, interventi immediatamente critici da parte dei vescovi, per qualcuno sarebbero forse profetici, ma per molti altri suonerebbero come atti pregiudizialmente ostili. Non posso non osservare, poi, che fra quanti chiedono oggi l’intervento dei vescovi, c’è anche chi li ha duramente criticati quando – in passato – sono intervenuti su scelte politiche e pratiche compiute da partiti di segno opposto».

Tuttavia è giusto che i pastori dicano una parola che possa aiutare il discernimento dei fedeli. «Sì, e in questo senso ho davvero apprezzato la Nota della presidenza della Cei. Essa afferma esplicitamente di non aver la pretesa di offrire facili soluzioni. Senza forme di aggressività e di saccenteria, invita a “non lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto”».

Qual è il suo pensiero sull’attuale politica del governo nei confronti dell’immigrazione? «Mi pare doveroso ricordare che da molte parti, direi anzi da tutte, a livello nazionale e internazionale, è stato riconosciuto che l’Italia è stata lasciata sola (con la Grecia) a gestire quest’emergenza. A questa constatazione non sono seguiti fatti e scelte concrete da parte de- D gli altri Paesi europei. Da alcuni addirittura si sono avute posizioni di drastico rifiuto di ricevere qualsiasi numero di immigrati. Ora, che il nostro governo abbia inteso puntare i piedi perché l’Italia non continui ad essere lasciata sola, non mi pare una cosa sbagliata a livello di principio, ma coerente con le dichiarazioni fatte da tutti. Nello stesso tempo non posso fare a meno di osservare che, per raggiungere questo scopo, di fatto si strumentalizza la realtà concreta di tante persone, le quali vengono respinte dopo aver affrontato traversie tremende o vengono fatte sostare giorni e giorni in situazioni disumane. Il rischio è che, per convincere gli altri a collaborare, le nostre mani finiscano per sporcarsi di sangue e di morte. A quel punto non sarà proprio così facile giustificarci davanti alla nostra coscienza, ma neppure davanti alla storia e, tanto meno, di fronte a Dio».

Al di là delle particolari scelte politiche, quale impressione ne ricava? «Credo che stia crescendo, anche in Italia, una posizione di rifiuto pressoché pregiudiziale nei confronti di nuove accoglienze: “Non vi vogliamo! Tornatevene a casa vostra!”. Si può riassumere con queste frasi il pensiero che – incoraggiato da una parte dell’esecutivo – sta diffondendosi in modo sempre più generalizzato in alcuni settori del nostro Paese. Mi sembra quasi superfluo osservare che questa posizione di rifiuto pregiudiziale è davvero incompatibile con il messaggio cristiano. È il segno e l’espressione di un’indifferenza o, peggio ancora, di un rifiuto nei confronti di quello che la Nota della presidenza Cei definisce un “esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture”. Questo è un modo di pensare e di agire che il vangelo di Gesù condanna radicalmente».

Si sente dire, però, che la situazione degli immigrati clandestini è incontrollabile. «Mi pare che questo enfatizzare il pericolo dell’immigrazione, vista soltanto come pericolo e minaccia per noi italiani, ha come risultato di ingigantire le paure e il senso di insicurezza, creando la convinzione che siamo letteralmente invasi dagli immigrati, i quali ci ruberebbero il lavoro, avrebbero dei privilegi che gli italiani non hanno, farebbero schizzare in alto la delinquenza… e così via. Il che non corrisponde alla realtà: basterebbe guardare i numeri concreti e non fermarsi ai casi singoli che vengono sbandierati in maniera sproporzionata. Si tende a ragionare, poi, come se quello dell’immigrazione fosse un fenomeno passeggero, che durerà qualche mese. Quindi basterebbe “tener duro” per un po’ di tempo nel negare l’attracco delle navi cariche di quei poveracci nei nostri porti per risolvere il problema…».

E invece lei ritiene che non sia così? «Sì, non è così. Si tratta di un fenomeno epocale, con cui dovremo fare i conti certamente per molti anni e che non possiamo assolutamente risolvere con la chiusura dei porti. Non solo, ma secondo i dati riportati da studi e proiezioni che non ho motivo di ritenere falsati, solo l’immigrazione potrà garantire nel prossimo futuro al nostro Paese (che vanta la percentuale di nascite tra le più basse del mondo occidentale) di far sì che l’economia e il welfare possano stare in piedi. Non basta sicuramente invitare chi sostiene questa tesi a dimettersi, per dimostrare che non è vera ».

Senza voler offrire “soluzioni a buon mercato”, dalle quali la Nota Cei mette in guardia, quali strade vede possibili? «La mia impressione è che, in presenza di quest’emergenza di lungo termine, ci si scontri con la reale difficoltà di elaborare un programma ragionevole e ordinato di accoglienza e di integrazione. Si oscilla tra un “buonismo” ingenuo che dice di accogliere tutti (il che evidentemente è impossibile) e un rifiuto radicale che dice di non accogliere nessuno. Questa contrapposizione sterile blocca il problema e impedisce il dialogo e la ricerca comune di soluzioni concrete, adeguate alla situazione. Proprio quest’ultima, cioè quella del dialogo serio, responsabile e realistico fra le forze politiche di fronte ad una questione non eliminabile, dovrebbe essere la strada da percorrere».

Alcuni propongono di “aiutarli a casa loro” oppure che “occorre un nuovo piano Marshall per l’Africa”. «Finché l’Europa vive questa mancanza di progettualità e di volontà politica che purtroppo osserviamo, questi slogan servono solo a riempire la bocca, ma lasciano vuoto il cuore e sterili le scelte. In questo senso le realtà che hanno fatto qualcosa di veramente utile per i paesi dell’Africa e per il loro futuro sono state le organizzazioni umanitarie, spesso direttamente o indirettamente ispirate dalla Chiesa cattolica, con progetti mirati in vari Paesi. Qui da noi, mi viene in mente – fra le tante – l’Associazione famiglie rurali e i progetti concreti che sta portando avanti nel Benin, ma anche il prezioso lavoro di promozione umana svolto da tanti missionari, religiosi e laici. E inoltre – purtroppo quasi mai citati – i progetti e le iniziative realizzati con l’8xmille, sempre da parte della Chiesa cattolica italiana. Da queste realtà lo Stato italiano e l’intera Europa avrebbero molto da imparare, sempre che volessero realmente farlo».

Don Alessio Magoga

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