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In Ucraina è genocidio?

Riflessioni e discussioni si susseguono nel mondo su quello che accade in Ucraina. E’ corretto parlare di genocidio, nel pieno della guerra, come ha detto più volte Biden nei giorni scorsi?

In Ucraina è genocidio?

Gli esperti internazionali sono al lavoro sul campo per verificare i crimini commessi dalle truppe russe in Ucraina. Anzi lo erano già da prima del 24 febbraio, a fronte invertito, per documentare anche la condotta delle milizie filo-ucraine  a danno delle minoranze russofone nelle province autonomiste di Donetsk e Luhansk.

Alcuni leader, come - ad esempio - il presidente americano Joe Biden, il primo a parlarne pubblicamente, credono che la Russia stia commettendo un “genocidio”. Ma per altri, come il presidente francese Emmanuel Macron e il nostro presidente del consiglio Mario Draghi, la parola ‘genocidio’ deve essere usata correttamente. Non più tardi di un mese fa era stato lo stesso presidente russo Wladimir Putin a dire nello stadio gremito Luzhniki di Mosca che l’intervento in Crimea – avvenuto 8 anni prima – e nella regione del Donbass era giustificato dagli attacchi aerei ucraini “che noi chiamiamo genocidio”.

Gli esperti sono cauti perché il ‘crimine di genocidio’ è molto difficile da provare, perché bisogna dimostrare l'intento specifico. Stando alla definizione sancita dalla Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio del 1948, trattato multilaterale che Russia ed Ucraina ratificarono nel lontano 1954, il reato in oggetto può essere perpetrato ai danni dei membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. 

Ma perché allora si parla di genocidio in un contesto che, pur caratterizzato da molteplici atrocità, sofferenze e violazioni del diritto internazionale umanitario non ricorda altri e più noti esempi di detto crimine, dall’Olocausto al genocidio cambogiano o ruandese? Pur nella drammatica disumanità delle fosse comuni di Bucha o dei morti per le strade di Kharkiv o Mariupol, l’uso del termine ‘genocidio’ in questa fase si può comprendere solo in una prospettiva di narrativa mediatica che le parti utilizzano per giustificare scelte di politica estera al proprio interno. Quel che è certo è che tale uso non favorisca ora la mediazione diplomatica!

La Corte penale internazionale (Cpi), organismo deputato a valutare la sussistenza di tale delitto, per ora, è prudente, e parla soltanto di “indicazioni” di possibili crimini di guerra commessi.

Lo scorso 3 marzo la Cpi, con sede all'Aia, ha aperto un'indagine su sospetti crimini di guerra compiuti in Ucraina. Il procuratore capo, Karim Khan, che ha visitato nei giorni scorsi Bucha, teatro di centinaia di uccisioni di civili attribuite da Kiev alle forze russe, ha dichiarato che l’intero territorio è “una scena del crimine” dove “abbiamo motivi ragionevoli per credere che vengano commessi crimini all'interno della giurisdizione del tribunale. Dobbiamo dissolvere la nebbia della guerra per arrivare alla verità”, ma che occorre raccogliere le prove per delineare le specifiche responsabilità. Bisogna considerare che non è automatica la giurisdizione: né la Federazione russa né l’Ucraina hanno, infatti, ratificato lo Statuto di Roma che nel 1998 ha istituito la Cpi, anche se nel 2014 il governo di Kiev ha accettato ad hoc la competenza della Corte per i crimini commessi sul suo territorio dal 2013 in poi.

Tale accettazione ad hoc implica per l’Ucraina l’obbligo di cooperare con la Corte su vari aspetti, ma anzitutto ai fini della raccolta delle prove. In effetti la competenza della Cpi si accetta con la ratifica dello Statuto oppure con una Dichiarazione ad hoc, come quella del governo di Kiev. Non altrettanto varrebbe quindi per Mosca.

Si prescinde invece dall'accettazione degli Stati nel caso di una certa situazione in cui appaia che determinati crimini siano stati commessi e che viene rinviata alla Cpi dal Consiglio di sicurezza ai sensi del Capo VII della Carta delle Nazioni Unite e cioè allorché i crimini siano collegati con una situazione di minaccia alla pace, rottura della pace o atto di aggressione. In questo caso tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno l’obbligo di cooperare con la Corte. Tuttavia nel Consiglio di sicurezza i membri permanenti hanno il diritto di veto, che nel caso della guerra in Ucraina sarebbe quindi utilizzato dalla Russia e forse anche dalla Cina.

Enrico Vendrame

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