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LA SENTENZA DELLA CORTE: non è sempre punibile chi agevola il suicidio assistito

La sentenza sulla questione di legittimità dell'articolo 580 del codice penale sollevata nell'ambito del processo a Marco Cappato per il suicidio assistito di Dj Fabo

LA SENTENZA DELLA CORTE: non è sempre punibile chi agevola il suicidio assistito

È "non punibile", a "determinate condizioni", chi "agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli". E' questa la tanto attesa sentenza emessa dalla Corte Costituzionale sulla questione di legittimità dell'articolo 580 del codice penale sollevata nell'ambito del processo a Marco Cappato per il suicidio assistito di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabp, il quarantenne milanese tetraplegico in seguito ad un incidente stradale, che Cappato aveva accompagnato in Svizzera a morire come chiedeva da anni. 

La Corte - si legge nella nota diramata ieri sera da Palazzo della Consulta in attesa del deposito della sentenza che avverrà nelle prossime settimane - ha "subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità' previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua" (il riferimento è agli articoli 1 e 2 della legge 219/2017 in materia di consenso informato e Dat) e "alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Ssn, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente".

Già l'anno scorso la Corte Costituzionale aveva segnalato l'incostituzionalità della norma che parificava l'istigazione al suicidio con l'aiuto. Undici mesi fa i giudici, che avevano chiesto al parlamento di legiferare (avevano dato tempo fino al 24 settembre, senza  alcun risultato), avevano stabilito alcuni punti fondamentli che sono stati alla base della decisione.
Se da un lato era impossibile depenalizzare totalmente e genericamente l'aiuto al suicidio, la Corte aveva messo in chiaro i punti base, alcune condizioni specifiche che facevano diventare "ingiusta e irragionevole" la punizione per  chi aiuta a morire. Le condizioni sono  che si tratti di un malato terminale in grado di decidere pienamente, afflitto da una patologia che gli provoca sofferenze fisiche e psichiche per lui assolutamente intollerabili.

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