
Nel periodo compreso tra il 23 febbraio e il 14 giugno, tra mancate assunzioni e rapporti di lavoro cessati, l’emergenza Covid-19 ha determinato in Veneto una perdita di circa 65 mila posti di lavoro rispetto allo stesso periodo del 2019, corrispondenti al 3% dell’occupazione dipendente complessiva. È quanto emerge dai dati aggiornati del monitoraggio dell’Osservatorio Veneto Lavoro sull’impatto della pandemia sul mercato del lavoro regionale.
A partire dal 4 maggio, in corrispondenza con l’allentamento delle misure di lockdown e dei vincoli alla libertà di movimento dei singoli cittadini, si sono registrati i primi segnali incoraggianti. Il saldo occupazionale è tornato ad essere positivo sia nel mese di maggio (+3.400) che in quello di giugno, quando ha raggiunto un valore simile a quello registrato nel 2019 (+17.600 nella prima metà del mese contro +23.500 dello stesso periodo dell’anno precedente).
Da considerare che il dato è evidentemente influenzato anche dal blocco dei licenziamenti e dall’estensione della cassa integrazione, che hanno contenuto il numero delle cessazioni, riguardanti per la maggior parte contratti a tempo determinato giunti a scadenza.
La differenza tra il 2020 e il 2019 è dunque largamente imputabile al crollo delle assunzioni, più che dimezzate rispetto all’anno precedente (-51%). Ma se nella fase più acuta della crisi il calo ha toccato quote superiori al 61%, a maggio e giugno è andato attenuandosi rispettivamente al -34% e al -31%.
Le province più colpite si confermano quelle con una maggiore incidenza delle attività stagionali: a Venezia si è registrata una perdita di oltre 29.000 posti di lavoro, a Verona 17.000. Calo più contenuto nelle altre province: -6.700 a Padova, -4.700 a Treviso, -4.200 a Vicenza, -1.900 a Belluno e -1.600 a Rovigo. In tutti i territori il saldo occupazionale nella prima metà di giugno risulta positivo, sebbene su livelli inferiori rispetto al 2019.