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La liberazione rese gli italiani cittadini e portatori di diritti

L'intervento integrale di Giulia Albanese, docente di Storia Contemporanea a Padova, tenuto il 25 aprile a Vittorio Veneto

La liberazione rese gli italiani cittadini e portatori di diritti

Signor Presidente, gentili autorità, cittadini e cittadine di Vittorio Veneto,

Il 26 settembre 1944, all’indomani del rastrellamento sul Grappa, 31 giovani italiani furono impiccati a degli alberi da altri giovani italiani e tedeschi, per ordine del comando nazista, lungo quello che oggi si chiama Viale dei Martiri. Non erano i primi, e non sarebbero stati gli ultimi. Tina Anselmi ha raccontato come quella esperienza, vissuta da studentessa, cambiò per sempre la sua vita, facendo di lei una partigiana.

È anche per episodi come questo che, quando, tra il 25 e il 28 aprile 1945, l’Italia fu definitivamente liberata dall’occupazione nazifascista, la gioia per la fine della guerra e la fine dell’occupazione si mescolò a sentimenti più complessi rispetto a quelli che avevano accompagnato gli italiani alla fine della prima guerra mondiale, 27 anni prima.

Questo accadde non solo perché la resistenza aveva vinto, ma l’Italia non era una potenza vincitrice; ma soprattutto perché quegli ultimi venti mesi erano stati sì una guerra di liberazione dall’occupazione nazista e dalla RSI, ma anche mesi di guerra civile.

Tuttavia, in quegli ultimi venti mesi, qualcosa era successo nel paese, agli italiani e alle italiane, che poco a poco, si erano dovuti trasformare da sudditi a cittadini, e avevano progressivamente abbandonato quel regime e quegli ideali che non avevano pienamente e liberamente scelto – alle ultime elezioni democratiche del 1921 solo 35 deputati fascisti erano stati eletti -, ma che in modo crescente nel ventennio avevano deciso, nella stragrande maggioranza, di sostenere. Un regime che li aveva obbligati a prendere la tessera del partito nazionale fascista per poter lavorare, che li aveva spinti alla delazione gli uni contro gli altri, a dire di “sì” anche quando avrebbero dovuto e voluto dire di “no”; che li aveva costretti a considerare anti-italiani e traditori della patria chi non la pensava come loro e che li aveva condotti, alla fine tragicamente impreparati, ad una guerra di rapina e di aggressione che il regime avrebbe perso, malgrado l’avesse preparata nell’ideologia e nella propaganda fin dall’ascesa al potere.

Se la fine del regime fascista – con la caduta di Mussolini il 25 luglio - fu l’effetto della presa di distanza dalle scelte mussoliniane da parte della sua classe dirigente e della monarchia, una congiura di palazzo e non una rivoluzione; l’8 settembre rappresentò la fine politica e morale della classe dirigente che aveva guidato l’Italia fino a quel momento, e che aveva sperato di salvarsi liberandosi di Mussolini, ma non si era poi presa la responsabilità di guidare gli italiani e il loro esercito all’indomani dell’armistizio.

L’8 settembre rappresentò però anche l’inizio delle scelte, dell’“età adulta”, per un popolo italiano che ora avrebbe dovuto scegliere da che parte schierarsi e come farlo. A poco a poco, inizialmente guidati soprattutto da ragioni esistenziali, dal trovarsi abbandonati dai comandi dell’esercito, dal rifiuto dell’occupazione nazista, ma anche semplicemente dalla solidarietà per i soldati sbandati o per i renitenti alla leva, moltissimi italiani e italiane cominciarono a prendere strade autonome, e alternative rispetto a quelle che il fascismo ricostituito nella Repubblica sociale voleva imporre loro. Non tutti fecero queste scelte, certo, ma moltissimi.

L’importanza di questo rifiuto del fascismo e del nazismo si vide in una regione come la nostra, il Veneto, e qui a Vittorio Veneto, dove la resistenza fu scelta da uomini e donne, da cattolici e laici, da comunisti, socialisti, democratici, liberali e democristiani, da contadini, operai e intellettuali.

Certo, non tutti divennero antifascisti – e questo non può stupirci dopo vent’anni di dittature e compromessi - e quelli che scelsero di continuare a sostenere il fascismo contribuirono tra le altre cose a portare alle estreme conseguenze quell’ideologia, fino a consegnare altri uomini, donne, vecchi e bambini, loro concittadini, alla morte – in ragione della loro appartenenza religiosa, che i fascisti avevano definito ‘razza’ fin dal 1938.

Certo, ci furono violenze, in alcuni casi evitabili, anche dalla parte dei partigiani e dei resistenti. Ma questo non può oscurare le ragioni diverse di quel conflitto. La liberazione dell’Italia dal fascismo e dall’occupazione nazista permise di costruire un’Italia in cui l’essere riconosciuti come cittadini, e quindi portatori di diritti civili e politici, è  un diritto di ciascuno e in cui i diritti civili vengono garantiti a tutti indipendentemente dal credo politico, dalla situazione sociale, dalla religione e dal genere o dal paese di provenienza; un’Italia che rifiuta la guerra come strumento di soluzione dei conflitti e che, proprio per prevenirla, ha promosso l’Unione europea.

A settantaquattro anni di distanza dalla liberazione, la memoria di quegli eventi appare non ancora completamente pacificata, e alcuni sembrano talora rimpiangere un’’Italia fondata sul sopruso, dimenticando che l’Italia repubblicana  ha reso straordinariamente più ricco questo paese e questa regione; ha dato alla maggioranza degli italiani e delle italiane la capacità di leggere e scrivere, e quindi di pensare, di giudicare, di scegliere se consentire o disobbedire; ha consentito che i governi passino, ma le istituzioni e la costituzione restino e garantiscano a tutti, minoranze e maggioranze, di essere se stesse e crescere.

Certo non tutto oggi è perfetto, ma è in effetti solo la responsabilità verso i valori che quella lotta ci ha trasmesso – e che sono diventati legge nella nostra carta costituzionale - che ci può riconnettere agli uomini e le donne che, tra l’autunno e l’inverno del 1943, e poi nel 1944 e nel 1945, contribuirono a far conferire ben sette medaglie d’oro al valor militare per la Resistenza a luoghi di questa nostra regione, tra i quali voglio ricordare Vittorio Veneto, e l’Università di Padova – in cui ho l’onore di insegnare -, unica università nel paese che ha ottenuto questa onorificenza in ragione della grande partecipazione di docenti e studenti alla lotta di liberazione. È a questi luoghi e alla loro storia, e ai molti uomini e donne che sprezzanti del pericolo e dei loro interessi personali contribuirono a costruire un’Italia democratica che dobbiamo oggi tutta la nostra riconoscenza, per quanto hanno fatto per consegnarci un’Italia profondamente diversa da quella in cui erano cresciuti e per la strada che ci hanno indicato.

Giulia Albanese

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