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«Per fare figli serve una società accogliente»

Siamo al minimo storico di nascite: appena mezzo milione nel 2013. La giornalista e scrittrice Ritanna Armeni: «Dissento dalla teoria femminismo-denatalità e ribadisco come causa del calo delle nascite la mancanza di una cultura della maternità che fa sì che, rispetto al passato, oggi siano i "ricchi" a fare più figli, vedendo nel figlio una risorsa».

«Per fare figli serve una società accogliente»

Nuovo minimo storico per le nascite nel nostro paese. Nel 2013, secondo l’Istat, poco meno di 515 mila: 1,29 per donna e 12 mila in meno rispetto al precedente minimo storico del 1995. Cause solo economiche o anche antropologiche? Quanto c’entra la propaganda “denatalista’ portata avanti per decenni da alcune frange del femminismo “storico”? Il Sir ne parla con la giornalista e scrittrice Ritanna Armeni.

Quali sono, secondo lei, oltre alle ragioni economiche, le cause di questo preoccupante “inverno demografico”? 
«Sulla questione si scontrano da tempo due scuole di pensiero, quella che ne attribuisce la responsabilità a motivi economici, e quella che la attribuisce a egoismo e incapacità di sacrificio. Non mi inscrivo in nessuna delle due. Il punto è che ognuno di noi vorrebbe dare ai figli il meglio della società o almeno quello che ritiene sia il meglio. Vengo da una famiglia modesta, del Sud, e mio padre mi ha fatto studiare a costo di grandi sacrifici, perché era un’aspirazione vera. Oggi sotto la parola simbolica "denaro" si nasconde una questione più profonda, la paura che i figli non sappiano ritrovarsi in una società che non fa nulla per accoglierli. È vero che le risorse economiche consentono una migliore formazione e favoriscono l’inserimento sociale e lavorativo, ma ciò che manca nel nostro Paese sono segnali di accoglienza. Quando invece uno Stato ne invia, anche piccoli, attraverso le sue leggi – come in Francia o in Svezia – i figli si fanno, eccome. In Italia, invece, non si dà valore alla maternità, e devo aggiungere che, se i nostri giovani non si possono definire egoisti, hanno però poco coraggio».

La situazione attuale è frutto anche di decenni di propaganda “denatalista” attuata soprattutto da alcune espressioni del movimento femminista, al quale vanno peraltro riconosciute importanti conquiste? Una sorta di “persecuzione” culturale della maternità? 
«Questa è una provocazione importante che mi interessa direttamente perché io faccio parte di quella storia e, infatti, ho voluto una sola figlia perché nel mio equilibrio esistenziale bastava: avevo momenti di realizzazione molto importanti nel mio lavoro ai quali, con un altro figlio, avrei dovuto rinunciare. Oggi, in astratto, se tornassi indietro, forse un altro figlio lo farei, ma posso dire di non essermi mai sostanzialmente pentita della mia decisione. Sono figlia della mia generazione e ogni generazione supera l’altra. In quella precedente alla mia, i figli si facevano. È vero che, ad un certo punto, il non fare figli, o il farne uno solo, è stata effettivamente l’affermazione di poter fare qualcos’altro, ma non è assolutamente vero che la cultura femminista è antimaternità, anzi esalta la maternità fino all’esagerazione. Quello che ha sempre rinnegato è la subalternità sociale ed economica che il sistema riservava alla donna tentando di relegarla in casa, madre di numerosa prole, ma tutte le femministe che conosco hanno avuto per la maternità un rispetto assoluto, come l’unica cosa che ci distingue dall’universo maschile. Non a caso, pur nella semplificazione del ragionamento, femminismi "emancipazionisti" come quello francese e svedese si accompagnano alla presenza di molti figli».

Sì, ma anche alla presenza di madri single per scelta, soprattutto nei paesi del nord Europa, e di una maternità vista spesso come affermazione di un diritto individuale, come forma di emancipazione e autogestione di sé al di fuori della famiglia “tradizionale”. Una visione che si sta affermando anche da noi…
«In Italia riguarda però una generazione che con il femminismo "storico" non ha avuto a che fare, persone nate dopo gli anni ’80 che lo hanno assorbito solo in alcune conquiste: maggiore libertà sessuale e desiderio di studiare e affermarsi professionalmente. Il calo delle nascite, qui come in India o in Iran, procede in parallelo alla scolarizzazione femminile, alla capacità di pensarsi madri e "altro" al tempo stesso. Dissento dalla teoria femminismo-denatalità e ribadisco come causa del calo delle nascite la mancanza di una cultura della maternità che fa sì che, rispetto al passato, oggi siano i "ricchi" a fare più figli, vedendo nel figlio una risorsa».

Anche un “diritto” da soddisfare a qualsiasi costo…
«Un diritto e una ricchezza. Ciò che è cambiato è la "lettura" del figlio e, non a caso, in Italia oggi si fanno più figli al nord che non al sud».

Questa nuova “lettura” non le sembra uno stravolgimento antropologico? 
“Si tratta certamente di una rivoluzione culturale che meriterebbe un discorso più approfondito. Rimane il fatto che in Italia il desiderio di fare figli c’è, ma mancano le condizioni. Certo, l’età ideale sarebbe intorno ai 25 anni, ma occorre guardarsi dal mito della "natura buona". Si fanno quando è possibile e con le modalità più diverse. Anche con l’aiuto della scienza e della tecnologia alle quali, tuttavia, è necessario porre dei paletti».

Quali le “ricette” per rimediare a questo “disastro”? 
“Una sola: creare una società accogliente, senza retorica e frasi fatte, in cui le leggi dello Stato diano il giusto valore alla maternità. Servono servizi, asili, congedi parentali. Le donne devono poter essere al tempo stesso lavoratrici e madri. Ma lo sa che siamo un paese in cui esistono ancora le dimissioni in bianco e si teme di comunicare al proprio datore di lavoro che si aspetta un bambino?».

Fonte: AgenSIR
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