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Rotta balcanica, un viaggio insidioso

Intervista a Djiana Muzička, che vive a Sarajevo, coordinatrice di Caritas Bosnia-Erzegovina per il sostegno dei migranti nei campi profughi e fuori dai campi

 

Rotta balcanica, un viaggio insidioso

Violenze e abusi sono diventati una costante nella vita dei migranti in viaggio lungo la rotta balcanica. Violazioni dei diritti umani perpetrate proprio da agenti di polizia e autorità giudiziarie le quali si pongono arbitrariamente ad ostacolo per quanti vorrebbero fare domanda di asilo. Molti dietro di sé hanno migliaia di chilometri alle spalle essendo partiti dal Pakistan, dall’Afghanistan o dall’Iraq, qualcuno dall’Africa con il primo tratto in aereo, e transitati poi per la Turchia e la Grecia.

Sulle spalle uno zaino con qualche vestito, alcuni risparmi, un cellulare per comunicare e trovare la strada, mille aspettative e i ricordi di una vita a cui aggrapparsi mentre a testa bassa macinano decine e decine di chilometri. 

I migranti definiscono con cinismo come 'gioco' (“The Game” lo chiamano) quella che è la loro esperienza di attraversamento dei confini dell'Europa centro-orientale, ossia un continuo muoversi lungo un percorso ad ostacoli fatto di tentativi e rischi, di passi in avanti ed indietro. A volte sono costretti a fermarsi così come accade nel gioco dell’oca.

Dopoché la Turchia ha allentato i controlli ai confini, negli ultimi mesi molti hanno ricominciato a tentare di attraversare i boschi tra la Serbia e la Croazia da soli e poi su fino al Carso, con le mappe di Google. Negli anni scorsi la rotta balcanica seguiva un percorso differente da quello odierno, avendo alcuni paesi nel frattempo eretto barriere di filo spinato e blindato i loro confini.

Ci sono diverse strategie per percorrere queste rotte: autobus, furgone, treno, piedi. Denominatore comune è arrivare prima possibile in Bosnia per terminare il ‘gioco’.

Per capire come è la situazione in Bosnia-Erzegovina, crocevia della rotta balcanica, abbiamo intervistato Djiana Muzička, che vive a Sarajevo, coordinatrice di Caritas Bosnia-Erzegovina per il sostegno dei migranti nei campi profughi e fuori dai campi.

 

Djiana, come si presenta la situazione oggi dei migranti in Bosnia Erzegovina?

Quando é scoppiata l’epidemia di Covid 19 in Bosnia ed Erzegovina, i migranti presenti erano tra i 9mila ei 10mila. Di questi il 40% non aveva trovato alloggio nei campi di accoglienza a causa della mancanza di spazio. Molti di loro hanno dormito e dormono ancora per le strade in cerca di strutture o di case abbandonate per nascondersi. In alcune di queste strutture durante la quarantena, abbiamo trovato più di 60 persone senza acqua, elettricità e servizi igienici. La situazione per loro non sta migliorando, peggiora ogni giorno.

Durante il propagarsi del virus in cui il mondo intero è stato bloccato, anche i migranti, specialmente quelli nei campi sono rimasti bloccati. Ciò ha causato come si può immaginare molti momenti difficili per loro. Ma ora dopo che le misure restrittive sono venute meno e le frontiere si sono aperte, i nuovi arrivi hanno iniziato ogni giorno ad arrivare, mentre quelli già presenti in Bosnia ed Erzegovina hanno iniziato nuovamente “The Game”. Il più delle volte ritornano ferite, respinte indietro dal confine. A volte senza niente, derubati di tutto.

E’ difficile calcolare il numero dei migranti presenti in Bosnia, anche se la media di quelli presenti nei campi si aggira sulle 5500 presenze. Credo però che la vera sfida sia contare le persone sulle strade in movimento: Unhcr ha riferito che si tratta di circa 2500 persone, ma questo numero è in realtà molto più alto.

Perché sempre più migranti decidono di incamminarsi sulla Rotta balcanica?

Per chi transita per la Turchia, l’Europa è meno pericolosa via terra piuttosto che un viaggio in barcone. Come ben saprete non sono in grado di attraversare i confini tra Turchia e Bulgaria, tra Grecia e Macedonia, tra Serbia e Ungheria, mentre il confine tra Serbia e Bosnia è abbastanza aperto e facile da attraversare. La parte più difficile del ‘gioco’ è il confine tra Bosnia e Croazia. I migranti ci hanno detto che questo confine è al livello 8 del ‘gioco’. Inconsapevolmente la rotta balcanica funziona. E’ possibile attraversare il confine. Se i rapporti dicono che quasi 60mila persone sono state registrate dal 2018, e nel paese se ne contano meno di 10mila, significa che 50mila persone hanno già attraversato il confine e si trovano nei paesi UE.

Il ‘gioco’, dopo la sosta per il coronavirus, è ripreso in queste lunghe giornate di inizio estate.

Quante persone si stima abbiano intrapreso la Rotta balcanica per migrare?

Nel periodo 2018 – fine 2019 i rapporti ufficiali indicano 52.153 arrivi. Nel gennaio 2020, il numero di nuove persone registrate era 882 (ma questo non è il numero reale di arrivi per questo mese, molti migranti non passano attraverso la procedura di registrazione). Anche il numero di persone in inverno è sempre più basso che in primavera e in estate.

Quante persone sono attualmente accolte nei centri di accoglienza dalla Bosnia Erzegovina? Ci potrebbe indicare le loro principali nazionalità e l’età media dei migranti accolti?

Al momento i rapporti ufficiali (giugno 2020) indicano presenti nei campi poco più di 5mila e 600 persone che principalmente provengono da Pakistan (42,8%), Afghanistan (19,6%), Marocco (9,6%), Iraq (5,5%), Egitto (2,4%) e Siria e altri paesi (12,4%). In Bosnia vi sono circa 475 minori non accompagnati, 394 famiglie con bambini, 451 donne e ragazze, e il resto sono prevalentemente maschi single. Questi gruppi vulnerabili hanno sempre come prioritario l’alloggio e l’assistenza.

Attualmente abbiamo aperti 2 campi gestiti dal governo e 7 campi gestiti da IOM, a cui si aggiungono altri posti di alloggio sparsi per il Paese gestiti da organizzazioni locali e supportati da diversi donatori.

Quali sono le principali difficoltà che devono superare nel loro cammino prima di arrivare nei territori comunitari?

Queste persone hanno molte difficoltà: innanzitutto problemi di registrazione (la maggior parte di loro non vuole andare a registrarsi) e quando si registrano hanno 15 giorni di tempo per arrivare al posto scritto sul documento. La maggior parte di loro ha indicazione per andare al campo di Ušivak – all’interno del Paese – ma il loro obiettivo è Bihać,  Velika Kladuša e infine tentare “the game”.

Con il permesso temporaneo di richiesta di asilo possono soggiornare regolarmente per tre mesi in Bosnia.

La maggior parte dei profughi-migranti fa affidamento su gruppi di volontari che distribuiscono cibo e altri oggetti, chiedendo alle persone di aiutarli a pagare loro un alloggio in cambio di prestazione di manodopera. Le condizioni materiali e psicologiche delle persone in transito appaiono al limite. 

Se arrivano ora a Tuzla - primo grande centro urbano che le persone in transito trovano in Bosnia Erzegovina, dopo avere attraversato il confine della Serbia – molto probabilmente saranno spinti a comprare un biglietto per Sarajevo, non potendo affatto stare a Tuzla dove la situazione è al limite dell’emergenza. Da gennaio 2020 a metà giugno, 884 persone sono arrivate a Tuzla di cui 150 minori.

Qui i migranti in transito si fermano il tempo necessario prima di riprendere il viaggio,cercandoinformazioni puntuali su come terminare il livello 8 del loro ‘gioco’. Non possono tornare nel paese di origine, la maggior parte di loro non ha dove tornare, non vogliono rimanere in Bosnia e sicuramente andare in Europa è duro e per alcuni impossibile ma è la loro meta.

Potrebbe raccontarci una storia di speranza che ha raccolto tra i migranti che sono riusciti ad arrivare in una struttura gestita dalla Caritas?

Tra le varie attività Caritas finanzia il centro di ascolto e gestisce il servizio di lavanderia a Tuzla. Quando abbiamo chiesto loro di raccontarci qualcosa sul servizio che svolgiamo, uno di loro ci ha detto "è interessante quanto poco ci vuole per riguadagnare dignità: una doccia calda e vestiti puliti e ti senti di nuovo un brav'uomo". Soufiawe viene dal Marocco, ha 23 anni. Da molto tempo è in viaggio per una vita migliore. Viene al centro di ascolto ogni giorno: si fa una doccia, si lava i vestiti sporchi e si lava i vestiti puliti. Al centro può sedersi e bere un tè o un caffè caldo, inoltre Internet è gratuito in modo da poter essere in contatto con una famiglia che ha lasciato in Marocco.

Ogni giorno quando regaliamo una tazza di tè o di caffè, scopriamo che si crea una infrangibile connessione che ti fa vedere e sentire la loro disperazione e paura, e al tempo stesso il  loro buon umore e speranze.

Dal suo osservatorio e in base alle testimonianze che avete raccolto la Bosnia Erzegovina è solo paese di transito verso Germania, paesi scandinavi o Francia? O offre anche opportunità di stabilirsi per i migranti?

La Bosnia ed Erzegovina è per lo più un paese di transito per almeno il 99% di queste persone. Solo l’1% si attiva per la procedura di asilo che alla fine permetterà loro di vivere e lavorare qui. Questo percorso è molto lungo e può durare un anno e più. Al momento (giugno 2020) oltre 1000 domande sono in attesa di essere completate, mentre a gennaio questo numero era di 1113 domande.

Sarajevo continua a essere una città multietnica e crocevia di popoli. Nonostante i problemi che attanagliano i bosniaci i migranti vengono tollerati?

Sarajevo è una città grande rispetto a Bihać e ad altre città che sono interessate dai migranti. A Sarajevo ci sono circa 500 migranti nelle strade. Non è un problema, sono qui, il problema è che non hanno normali condizioni di vita. La gente, i comuni cittadini, li supportano con vestiti e cibo.

In questi mesi di lockdown si sono messi a vendere tessuti all'incrocio delle strade: le persone danno loro in cambio qualche soldo senza nemmeno prendere i tessuti. Non si hanno problemi fino a quando alcuni migranti non commettono un furto o una rapina o insultano la gente per strada. I migranti camminano liberamente per la città di Sarajevo.

Come giudica la situazione di protezione dei migranti una volta arrivati in Bosnia Erzegovina? E qual è il tempo di permanenza media prima di passare in Croazia?

La protezione è sempre un problema presente sul tavolo. La maggior parte degli operatori umanitari si concentra sulla popolazione più vulnerabile tra i profughi. Alcuni di loro non si sentono al sicuro nei campi a causa della situazione conflittuale con altri gruppi nazionali presenti, così preferiscono lasciare il campo. Ma in generale, questa condizione potrebbe essere migliore perché il loro soggiorno in Bosnia dipende da quanto velocemente possono trovare chi li possa aiutare nel ‘gioco’. Molti tornano indietro dal ‘gioco’, che assomiglia molto ad un girone dantesco più che a un gioco dell’oca, per poi riprovarci. In media in 3-4 mesi riescono a passare. I più fortunati rimangono appena 72 ore. Alcuni di loro sono qui da più di un anno, per motivi diversi o perché hanno terminato i soldi da dare ai passeur, trafficanti di persone.

Qual è l’impegno delle Caritas in Bosnia Erzegovina e delle Chiese locali per questi migranti?

La Caritas sta lavorando su diversi ambiti: cibo e nutrizione, acqua potabile, igiene personale e supporto psicosociale. Assicuriamo la nostra presenza in diversi campi e fuori dai campi. Lavoriamo nel campo di Bira (all’interno dell’ex fabbrica di frigoriferi) a Bihać, fornendo un servizio di lavanderia e di volta in volta distribuiamo prodotti per l’igiene e vestiti. Con i colleghi dell’ong italiana IPSIA – che fa capo alle ACLI – offriamo bevande calde attraverso il Social café (Caj corner). Nel cantone di Una-Sana ci sono 5 campi, noi siamo presenti nel campo di Sedra a Cazin.

A Tuzla abbiamo anche un servizio di lavanderia mobile, che fornisce un servizio per le persone che dormono in due case gestite da una ong locale, un servizio quotidiano per le persone del centro di ascolto.

Nel campo di Delijaš, vicino a Sarajevo, distribuiamo generi alimentari per i richiedenti asilo: per lo più si tratta di frutta, verdura e altri oggetti come le spezie o un po’ di cibo che riceviamo, ma non è abbastanza. E infine nel campo di Ušivak, sempre nel cantone di Sarajevo, consegniamo articoli non alimentari e igienici. Alle persone che dormono in case abbondate e strutture in rovina forniamo principalmente cibo, prodotti per l’igiene e vestiti.

Il nostro desiderio è quello di aprire un Social café a Ušivak e un nuovo servizio di lavanderia nel campo Blažuj. Ancora però dobbiamo trovare un donatore per questi progetti.

Enrico Vendrame

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