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SOCIETÀ: famiglie, l'Istat suona la sveglia

Quelle giovani a maggior rischio di povertà

SOCIETÀ: famiglie, l'Istat suona la sveglia

Dopo tutto il rumore della propaganda degli ultimi mesi, anzi degli ultimi anni, la sveglia alla politica, per chi la vuol sentire, l’ha suonata l’Istat. Dai dati diffusi dalla stampa nazionale lo scorso 18 giugno sappiamo che le famiglie giovani (capofamiglia fra i 18 e i 34 anni) cadono in povertà assoluta nel 10,4% dei casi. Se il capofamiglia ha superato i 64 anni la possibile indigenza cala al 4,7. Fra trent’anni la quota degli ultra 65enni (oggi al 23%) oscillerà tra il 33% e il 37%, e verranno meno sei milioni di persone in età lavorativa. Il welfare sarà sottoposto a tensioni insopportabili. Se oggi si fatica a sostenere 14 milioni di ultrasessantenni, quando saranno 20 milioni, come si farà? Rappresentando una fetta di elettori in costante aumento, è pensabile che gli amministratori vorranno concedere loro benefici, peggiorando la situazione.
Ci sarà una tendenza “anzianista” o qualche politico si renderà conto e aprirà ad altre soluzioni? Occorrerà offrire certezze alle giovani famiglie su lavoro, abitazione e prospettive di futuro migliori di quelle attuali. Occorrerà rimettere in moto l’ascensore sociale. La cultura politica e quella diffusa dovranno promuovere generosità, apertura alle comunità, in primis alle famiglie, in controcorrente con l’individualismo.
Il rancore che si dice diffuso nella nostra società, più fomentato che dissuaso, porta a sospetto e a chiusura, tristezza, pessimismo. Alcuni Paesi europei hanno messo in atto strategie a favore delle famiglie giovani, come Francia, Gran Bretagna, Svezia, Irlanda, Danimarca. Altre, come Portogallo, Spagna, Grecia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Polonia, segnano un deciso calo demografico. Italia e Germania hanno un bilancio nati-morti negativo, ma sembra che abbiano l’opportunità di attrarre migranti giovani e in grado di mantenere un equilibrio necessario alla vitalità delle nostre società. Si devono, però, gestire correttamente le migrazioni, visto che c’è bisogno di più persone al lavoro che possano sostenere una popolazione sempre più anziana, in modo da non innalzare ulteriormente l’età della pensione.
Qui non si tratta più di difendersi dalle “invasioni” ma di governare, così da attrarre popolazioni giovani per un verso e favorire le famiglie giovani per un altro. L’obiettivo non può essere quello di difenderci dai migranti, ma di regolare e favorire il flusso a partire da calcoli economici. Altro che “buonismo”. In caso contrario, ci sarà declino inarrestabile, l’Occidente andrà in crisi economica, politica e culturale e, forse, si disperderà il patrimonio che si vuole difendere.

Franco Appi direttore “Il Momento” (Forlì-Bertinoro)

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