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Sacerdoti fidei donum: obiettivo raggiunto

L'editoriale del vescovo Corrado Pizziolo.

Sacerdoti fidei donum: obiettivo raggiunto

Con il rientro del nostro don Egidio Menon dal Ciad si interrompe, almeno per il momento, l’esperienza di sacerdoti fidei donum della nostra diocesi, iniziata verso la metà degli anni ’60. Ciò non significa la fine del nostro impegno missionario: significa anzitutto che un certo tipo di servizio ai paesi di missione ha portato a compimento il suo obiettivo. Quando i nostri sacerdoti sono andati in Brasile, in Burundi e nel Ciad, le diocesi in cui sono arrivati erano quasi completamente sprovviste di sacerdoti locali. Ora, sia in America Latina che in Africa, le diocesi in cui i nostri preti hanno lavorato sono pressoché autosufficienti in quanto a sacerdoti. E questo è un frutto diretto dell’impegno dei nostri preti i quali, in misura notevolissima, hanno dato un grande contributo proprio nella costituzione di seminari e nella formazione di nuovi presbiteri. D’altra parte va ricordato che la presenza dei preti fidei donum nei paesi dove vengono inviati è costitutivamente temporanea: essa non ha lo scopo di sostituirsi al clero locale, ma di favorirne il sorgere, la preparazione, la formazione. È in questo senso che possiamo dire che un servizio è stato portato a compimento: i nostri preti fidei donum hanno fatto ciò che era stato loro indicato di compiere. Ora lasciano che le diocesi in cui hanno svolto il loro servizio facciano la loro strada. Il momento attuale, caratterizzato dal crollo numerico di preti nella nostra diocesi (assolutamente imprevedibile a metà degli anni ’60, quando è iniziata la stagione dei fidei donum) ci costringe ad un momento di sosta e di ripensamento. 

Saranno il Consiglio presbiterale e, eventualmente, il Consiglio pastorale diocesano, in sintonia con il Vescovo, a individuare le scelte da farsi nei prossimi anni a questo riguardo. Ma, al di là dei preti fidei donum, è importante che noi rimotiviamo e rivitalizziamo – sia in diocesi che in tutte le parrocchie – lo slancio missionario in tutte le forme in cui esso può realizzarsi. Penso anzitutto alla preghiera fiduciosa e perseverante perché il Vangelo si diffonda in tutta la terra e alla testimonianza missionaria che noi – in questo territorio di antica cristianità, diventato ormai terra di missione – siamo chiamati a offrire. Ma penso anche alla relazione di amicizia e al sostegno nei confronti dei tanti missionari e missionarie partiti dalle nostre parrocchie; all’opera di aiuto concreto per lo sviluppo nei confronti dei paesi del terzo e quarto mondo attuata da parte di numerosi gruppi e associazioni presenti in varie parrocchie della nostra diocesi. Penso alla presenza di laici che – per un tempo più o meno prolungato – possono svolgere una presenza di volontariato accanto ai nostri missionari. Penso, infine, alla possibilità di aprirsi a nuove esperienze come la partecipazione a progetti interdiocesani aperti a presbiteri e laici. Evidentemente non mancano forme ed espressioni concrete dell’impegno per la missione ad gentes.

Diversi gruppi missionari presenti nelle nostre parrocchie già vivono questa tensione missionaria. Il mio auspicio e la mia indicazione è che questa sensibilità non solo non si spenga, ma cresca e maturi ulteriormente, rendendo possibile la formazione di una mentalità e di una cultura aperti alla missione. Ed è proprio da questa cultura (che possiamo chiamare l’“humus missionario” delle nostre parrocchie) che possono sorgere vocazioni missionarie di speciale consacrazione. Qualora ci si aspettasse miracolosamente che un certo numero di preti parta per la missione e non ci si preoccupasse minimamente di creare nelle nostre comunità cristiane questo terreno favorevole alle vocazioni di speciale consacrazione, sarebbe come se si pretendesse di avere un raccolto abbondante di grano da un terreno asfaltato. Il rientro in diocesi dei nostri preti, lungi dal farci considerare conclusa la nostra responsabilità missionaria ci invita, semmai, a riscoprirla e a rilanciarla. È anche questo che ci auguriamo dalla lettura della Evangelii gaudium che attueremo quest’anno: che la “dolce gioia di evangelizzare” ci contagi sempre più e favorisca il nascere di nuove vocazioni alla vita missionaria, sacerdotali, consacrate o laicali.

<+ Corrado, vescovo

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