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TURCHIA: Santa Sofia torna moschea, per motivi politici

Nata come chiesa nel 360, divenne basilica nel 537, poi moschea nel 1453, per trasformarsi in museo nel 1935

TURCHIA: Santa Sofia torna moschea, per motivi politici

Strappo della Turchia con l’Europa e con il mondo ortodosso. Il Consiglio di Stato turco ha dato il via libera lo scorso 10 luglio alla conversione di Santa Sofia (Hagia Sophia, luogo di culto dedicato alla sapienza di Dio), monumento simbolo di Istanbul, nonché patrimonio Unesco, in una moschea. Questa decisione segna una nuova tappa nel processo di allontanamento di Istanbul dai principi di laicità e manifesta la volontà di creazione di un Sultanato moderno. Con un successivo decreto presidenziale il presidente turco Erdogan ha riaperto al culto islamico la Basilica a partire dalla recita delle preghiera del venerdì dal 24 luglio 2020.

Nelle scorse settimane, si erano già levate molte voci da Grecia, Bulgaria, Romania, Russia, Stati Uniti e dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, perché non si convertisse in moschea il monumento originariamente cristiano. Voci che sono rimaste inascoltate. Non è chiaro cosa succederà ai mosaici che mostrano figure religiose cristiane come il grande Cristo Pantocrator e che nel periodo in cui Santa Sofia fu una moschea erano già stati coperti.

Una decisione che tuttavia da diversi anni era oggetto di numerose pressioni da parte di organizzazioni musulmane che ne volevano l’uso esclusivo come moschea e che la decisione del Consiglio di Stato ne spiana la strada. Ma vediamo di preciso a cosa è dovuta l’importanza di questo edificio e perché oggi il suo status è una faccenda molto spinosa.

ANTEFATTI. La prima chiesa venne iniziata da Costantino prima della sua morte, per poi essere ricostruita per due volte a seguito degli incendi subiti.  La basilica di Santa Sofia è uno dei più grandi esempi superstiti di architettura bizantina. Il tempio stesso era così riccamente e artisticamente decorato, che Giustiniano, una volta completati i lavori nel 537, esclamò: "Salomone, ti ho superato!", in quanto per quasi i 1000 anni successivi rimase la più grande cattedrale mai costruita.

La chiesa, inoltre, originariamente cattolica di rito greco, divenne ortodossa con lo scisma d’Oriente nel 1054, ritornando ad essere una cattedrale cattolica tra il 1204 e il 1261 sotto l’Impero Latino di Costantinopoli nato dopo la quarta crociata e tornare poi nuovamente una Basilica Ortodossa. Ma durante tutti questi cambiamenti, ci fu una costante: la Hagia Sophia è stato uno dei simboli imperiali, culturali e religiosi di Costantinopoli e dell’Impero Romano d’Oriente. La struttura divenne moschea con la presa di Istanbul da parte degli Ottomani nel 1453, per poi trasformarsi in museo nel 1935 per volontà dell’allora presidente Ataturk, padre della Turchia moderna e secolare. Fu proprio con questo status che, nel 1985, è stata inserita nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco. Tuttavia, questo suo status col passare del tempo ha iniziato a essere messa in discussione.

PRESIDENZA ERDOGAN. La Turchia moderna, nata con il trattato di Losanna dopo la prima guerra mondiale, è una repubblica fortemente laica. Negli ultimi anni l’Islam politico, trainato anche dalla lunga presidenza Erdogan, ha preso sempre più piede nel Paese la cui popolazione è composta per il 98 per cento da musulmani (la maggior parte dei quali sunniti). Con il passare degli anni sempre più gruppi hanno fatto pressione per fare in modo che Hagia Sophia tornasse a essere una moschea.

Simbolo dell’unità religiosa di una Turchia laica, ma anche di dialogo interreligioso e culturale tra ortodossi e musulmani, la basilica di Santa Sofia già dal 2013 aveva cominciato ad essere oggetto di schermaglie religiose perché dai minareti dell'edificio il muezzin nel pomeriggio ne canta l'invito alla preghiera.

DIETRO AL RITORNO A MOSCHEA. A seguito della sentenza del Consiglio di Stato turco Erdogan ha firmato un decreto che ordina la riconversione della basilica di Santa Sofia di Istanbul in una moschea, trasferendone il controllo al Direttorato degli Affari religiosi turco. 

Va ricordato che in Turchia ci sono altre quattro basiliche di Santa Sofia, che un tempo erano chiese e che erano state trasformate in musei e negli ultimi dieci anni sono tutte state riconvertite in moschee.

Nel maggio 2019, il presidente Erdogan aveva promesso che la riconversione di Santa Sofia di Istanbul in moschea avrebbe rappresentato una risposta alla decisione del presidente americano Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele.

PREOCCUPAZIONI. Papa Francesco nell’Angelus domenicale ha detto di essere molto addolorato per il futuro di Santa Sofia, mentre il Consiglio ecumenico delle Chiese ha chiesto al presidente turco di rivederne la decisione e di non riaprire vecchie e dolorose divisioni in nome di Dio tra musulmani e cristiani. Di fronte alle critiche internazionali Erdogan ha ribattuto che di tratta i una faccenda di “diritti sovrani” del suo Paese e che tale decisione deve essere messa in relazione ai diritti turchi in Siria, in Libia e nel Mediterraneo.

Di per sé, il suo ritorno alla funzione sacra originale può certamente ferire, e le reazioni di tutto il mondo ortodosso lo dimostrano, ma non dovrebbe stupire: soprattutto alla luce del ruolo che l’attuale presidente turco Erdogan è riuscito a ricavarsi a livello internazionale e di come storicamente Istanbul (già Costantinopoli) - come capitale di due imperi, quello romano e quello ottomano -  sempre stata connotata a livello simbolico.

Certo è che Erdogan intende con tale scelta da un lato ottenere ulteriore consenso da parte della base tradizionalista del suo partito, cercando di distogliere l’attenzione da una gestione politico-economica a dir poco controversa, e dall’altro ribadire il peso della Turchia nelle relazioni tra oriente e occidente puntando alla rinascita islamista della Turchia.

BUSSOLE. Il sentore che sta emergendo è che la decisione, seppur simbolica, sia una dichiarazione esplicita di sfida alle altre religioni, alla convivenza con le diversità nella regione, ai valori di libertà e di tutela dei diritti fondamentali.

Tutto questo avrà però sicuramente inevitabili ripercussioni anche per l’Europa, intesa come singoli Stati e come ruolo comune in politica estera verso la Turchia (dalle crisi in Siria e in Libia al controllo di risorse energetiche nel Mediterraneo e alla imbarazzante gestione immigratoria), e più in generale con la comunità globale cominciando a preoccupare anche i potenti alleati del ‘sultano’ come gli Stati Uniti e la Russia.

Enrico Vendrame

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