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Whatsapp troppo invadente? Inchiesta dell'Azione

Da tempo il cellulare è diventato pressoché per tutti uno strumento quotidiano, per un utilizzo che va oltre le telefonate e gli sms, in quanto serve anche per viaggiare in Internet, e quindi per trovare informazioni come anche per operazioni di vario genere, dai pagamenti alle prenotazioni di qualche sorta.

Whatsapp troppo invadente? Inchiesta dell'Azione

Da tempo il cellulare è diventato pressoché per tutti uno strumento quotidiano, per un utilizzo che va oltre le telefonate e gli sms, in quanto serve anche per viaggiare in Internet, e quindi per trovare informazioni come anche per operazioni di vario genere, dai pagamenti alle prenotazioni di qualche sorta. Ma un forte incremento nell’uso del cellulare è avvenuto con la diffusione di Whatsapp, l’applicazione che ha reso più facili i contatti con la possibilità di coinvolgere contemporaneamente più persone. Il fenomeno Whatsapp è diffusissimo tra i ragazzi (anche se anche tanti adulti non sono da meno), che rimangono “attaccati” allo smartphone in modo sistematico, anche quando sono in compagnia di altri amici, al punto che ormai si parla di dipendenza da Whatsapp, per l’incapacità di resistere senza accedere continuamente al cellulare, per il troppo tempo dedicato a messaggiare anziché ad altre attività o forme di relazione.Per i genitori prima d’altri, ma anche per le altre figure di educatori, questa dipendenza dal cellulare è un aspetto che preoccupa. Perché questi ragazzi sembrano come ipnotizzati, incapaci di staccarsi dal cellulare se non per poco tempo; incapaci di applicarsi in modo attento e continuativo ad altre cose: dallo studio al pranzo…; incapaci di accorgersi di quel che accade loro intorno; distratti rispetto ad altre cose belle e interessanti che hanno sempre caratterizzato la vita dei ragazzi della loro età.C’è preoccupazione per gli effetti negativi che, in seguito a questo comportamento, potranno esserci per questi ragazzi perennemente connessi, ma di fatto perennemente sconnessi dalla realtà.È un fenomeno che occorre innanzitutto comprendere nelle sue origini e nei suoi effetti, e occorre quindi trovare modalità per interagire con i ragazzi.Ampia inchiesta nel nuovo numero dell'Azione.

Sono stati 26 gli operatori pastorali, 17 dei quali sacerdoti, uccisi nell’arco del 2014, tre in più rispetto all’anno scorso. Il dato è contenuto nel Rapporto che l’agenzia Fides dedica ogni anno ai membri della Chiesa cattolica vittime in larga parte di atti di violenza subiti nell’esercizio del loro ministero. Per il sesto anno consecutivo, rileva il Rapporto, il numero più alto di operatori pastorali uccisi si registra in America. Negli ultimi dieci anni (2004-2013), riferisce Fides, sono stati uccisi nel mondo 230 operatori pastorali, di cui 3 vescovi. Nel 2014 sono morti in modo violento 17 sacerdoti, 1 religioso, 6 religiose, 1 seminarista, 1 laico. Secondo la ripartizione continentale, in America sono stati uccisi 14 operatori pastorali (12 sacerdoti, 1 religioso, 1 seminarista); in Africa 7 (2 sacerdoti, 5 religiose); in Asia 2 (1 sacerdote, 1 religiosa); in Oceania 2 (1 sacerdote, 1 laico); in Europa è stato ucciso 1 sacerdote. “Non possiamo tralasciare di ricordare - sottolinea Fides - quanti sono stati uccisi non dalla mano di un malvivente ma dal virus ebola, che sta mietendo migliaia di vittime in Africa occidentale, dove le strutture cattoliche, e non solo sanitarie, si sono mobilitate fin dal primo insorgere dell’epidemia”.

Il Rapporto Fides, nel ricordare che nel fare memoria di queste persone “non viene usato di proposito il termine ‘martiri’, se non nel suo significato etimologico di ‘testimoni’” - e questo “per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro” - sottolinea che “ancora una volta la maggior parte degli operatori pastorali uccisi nel 2014 ha trovato la morte in seguito a tentativi di rapina o di furto”, e che in diversi casi l’aggressione è avvenuta con “efferatezza e ferocia, segno del clima di degrado morale, di povertà economica e culturale, d’intolleranza in cui vivevano”. Qualcuno, prosegue la nota, “è stato ucciso dalle stesse persone che aiutava, altri hanno aperto la porta a chi chiedeva soccorso e sono stati aggrediti, altri ancora hanno perso la vita durante una rapina, mentre rimane incerto il movente per tante altre aggressioni e rapimenti conclusisi tragicamente, di cui forse non si conosceranno mai le vere cause”. In ogni caso si chiarisce che “nessuno di loro ha compiuto azioni o gesti eclatanti, ma ha vissuto con perseveranza e umiltà l’impegno quotidiano di testimoniare Cristo e il suo Vangelo in tali complesse situazioni”.
“Desta ancora preoccupazione - ribadisce Fides - la sorte di altri operatori pastorali sequestrati o scomparsi, di cui non si hanno più notizie, come i tre sacerdoti congolesi Agostiniani dell’Assunzione, sequestrati nel nord Kivu, nella Repubblica democratica del Congo nell’ottobre 2012; del gesuita italiano p. Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria nel 2013; o di p. Alexis Prem Kumar, rapito il 2 giugno scorso ad Herat, in Afghanistan”. A questi “elenchi provvisori” stilati annualmente da Fides, conclude la nota dell’Agenzia, “deve sempre essere aggiunta la lunga lista dei tanti, di cui forse non si avrà mai notizia o di cui non si conoscerà neppure il nome, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo”.

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