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Il Marcianum cambia rotta: il Patriarca spiega i motivi

"La cultura è realmente tale solo se è libera. È essenziale considerare che la libertà è anche e sempre autonomia economica. La libertà è, anche, non avere la preoccupazione di ricercare sempre nuovi finanziamenti e quando poi in un progetto è coinvolta in modo diretto o indiretto la Chiesa, tutto deve essere soppesato con cura". Queste le parole di Mons. Francesco Moraglia, intervistato dal settimanle diocesano Gente Veneta.

Il Marcianum cambia rotta: il Patriarca spiega i motivi

Dopo la notizia del riordino della Fondazione Studium Generale Marcianum, il Patriarca Francesco Moraglia spiega e motiva a Gente Veneta le ragioni della nuova stagione dell'istituzione.

E’ uscita la notizia della svolta e “ridimensionamento” del Marcianum: c’è sì un nuovo corso ma, soprattutto, ci sono attività che vengono progressivamente lasciate e dismesse... Tutto questo era proprio inevitabile?
Il Marcianum nasce da una idea che, sulla carta, è buona: dar vita a un polo culturale, pedagogico e accademico che intendeva prendere per mano il soggetto dalla scuola dell’infanzia fino all’università. Il progetto che supporta tale idea, però, ha una debolezza congenita: la mancanza di un patrimonio stabile che garantisca alla Fondazione autonomia nel tempo. Si è pensato - certamente in buona fede - che la Fondazione si potesse sostenere grazie agli sponsor ma i fatti smentiscono chiaramente tale convinzione. Solo tenendo ben presente tutto ciò si può comprendere la situazione attuale; in tal modo la Fondazione mostra di dipendere a doppio filo dagli sponsor. Per questo, quando alcuni hanno ridotto il loro impegno finanziario oppure con altri si è interrotta la collaborazione, il Marcianum ha dovuto ridisegnare il suo profilo generale. Si tenga conto, inoltre, che i costi già alti della struttura e del personale (diciotto dipendenti) sono progressivamente lievitati negli anni precedenti al 2012. E’ quindi del tutto inimmaginabile che la Diocesi, impegnata su più versanti pastorali, possa farsi carico di tali costi aggiuntivi.
La cultura è realmente tale solo se è libera. È essenziale considerare che la libertà è anche e sempre autonomia economica. La libertà è, anche, non avere la preoccupazione di ricercare sempre nuovi finanziamenti e quando poi in un progetto è coinvolta in modo diretto o indiretto la Chiesa, tutto deve essere soppesato con cura.
I recenti fatti di cronaca giudiziaria hanno avuto una pesante ricaduta sulla città di Venezia e su tutto il Veneto. E la Fondazione Marcianum ha sede a Venezia, ha legami con la città e con tutto il Veneto…

Tutto questo che cosa comporta per le istituzioni accademiche che appartenevano alla Fondazione e per gli studenti che ne stanno usufruendo? 
Purtroppo, e lo dico con vero dispiacere, a partire dall’anno accademico 2014/15 la Facoltà di Diritto Canonico San Pio X non attiverà più i corsi del primo anno. Lo stesso accadrà per l’Istituto Superiore di Scienze Religiose (ISSR) San Lorenzo Giustiniani che già nello scorso anno accademico 2013-14, per mancanza di iscritti, non aveva potuto attivare i corsi del primo anno. Questi due Istituti, pertanto, accompagneranno gli studenti che già stanno frequentando al compimento del ciclo accademico a cui sono iscritti. Gli studenti poi, dopo il conseguimento del grado accademico in cui sono attualmente impegnati, se lo vorranno potranno accedere al grado successivo presso altri Istituti; in tal senso si è espresso anche il Coordinatore dell’Osservatorio giuridico della Cei interpellato in merito.
La prima attenzione della Fondazione è riservata proprio a loro; è quanto ho domandato ripetutamente ai Soci. Il mio desiderio è poterli incontrare per spiegare loro la situazione nella sua complessità e far in modo che la Fondazione li accompagni al meglio, secondo quanto sarà nelle sue possibilità e nelle sue forze. Si esploreranno, quindi, tutte le possibili soluzioni in grado di ridurre i disagi legati al venir meno di tali attività. Il dispiacere che reca l’interruzione di un’attività accademica - e di altre, come quella editoriale, a questa collegate - è veramente niente di fronte all’angoscia che dà la questione del lavoro, soprattutto nell’attuale contesto. Ed è appunto avvertendo la delicatezza della questione che ho ripetutamente chiesto alla Fondazione e al dottor Lombardi - che dovrà gestire la fase di transizione - di considerare la questione occupazionale come prioritaria. Ripeterò ancora ai Soci che, su questo versante, tutti si devono sentire moralmente impegnati e si deve procedere unanimemente. 
Il Marcianum si avvia per il prossimo biennio ad essere un ente di ricerca, formazione e promozione culturale più agile nella struttura e che guarda con attenzione e intelligenza all’innovazione sociale e al welfare. Il riferimento, a trecentosessanta gradi, è lo sviluppo integrale della persona, cardine della dottrina sociale della Chiesa. Il Marcianum intende muoversi in stretto dialogo con i diversi soggetti del nostro territorio - Venezia e il Veneto - impegnati in tale settore. Il progetto, quindi, è semplice: rendersi presenti e porsi a servizio del territorio con competenza e dialogando con tutti gli interlocutori interessati.

Da quanto si intuisce ed è stato comunicato, si è trattato di una decisione sofferta ma non presa senza lunghe e condivise riflessioni, a livello diocesano e non solo. Quale ruolo hanno avuto i soci? 
Sì, è stata una decisione sofferta e condivisa. Ho già ricordato come fin dall’inizio del mio ministero in diocesi - era il marzo 2012 - mi fu manifestata la crescente disaffezione dei soci fondatori. Tale volontà di disimpegno non era motivata tanto dalla crisi economica, ma da considerazioni che li portavano a ritenere che alcune attività della Fondazione - tra cui la Facoltà di Diritto Canonico, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose, la Fondazione Giovanni Paolo I per la scuola paritaria - non corrispondessero agli interessi e alle finalità istituzionali dei soci stessi. Certamente, poi, anche le notizie di cronaca giudiziaria hanno influito in senso negativo. 
La condivisione, in casi come questi in cui sono molti i soggetti coinvolti (pensiamo ai dipendenti), deve essere il più possibile obiettiva e non è frutto dell’improvvisazione. Ho voluto consigliarmi in Diocesi e fuori, con persone esperte nel settore ma anche prudenti; la decisione non è avvenuta in alcun modo sotto la spinta degli eventi, ma è stata a lungo ponderata. A livello di Chiesa locale, mi sono riferito al Collegio dei Consultori per le competenze che gli attribuisce il diritto, chiedendo un parere motivato e un esplicito pronunciamento. Inoltre in questo ultimo anno - soprattutto dal luglio 2013 - ho fatto anche riferimento alla Santa Sede. 
Alla Congregazione per il Clero, il dicastero competente in materia e poi, data la delicatezza della situazione e per le persone coinvolte - e penso ancora ai dipendenti -, ho voluto riferirmi anche alla Segreteria di Stato. Non ho voluto solamente trattare la questione a voce ma ho avuto uno scambio epistolare e, in una lettera del 19 giugno 2014, viene approvato l’orientamento che stava progressivamente emergendo. E ho anche seguito il consiglio di informare il Santo Padre.
Non è comune né scontato che la Santa Sede si associ o addirittura dia esplicita approvazione ad una decisione assunta a livello diocesano ma, dopo una documentata e condivisa riflessione sulla necessità di cessare progressivamente le attività, la Congregazione per il Clero - con l’avallo della Segreteria di Stato - si è espressa associandosi in termini di esplicita approvazione.
Ritengo di aver fatto tutto il possibile per cercare di salvare quella che, all’inizio, era nata come una buona idea e mi riferisco al progetto culturale che sottostava alla Fondazione. Ciò che rende impossibile il proseguimento dell’esperienza, così come si è svolta fino ad ora, è - come già detto - la carenza di una base economica propria che la renda, almeno sostanzialmente, autosufficiente. Peraltro, questo è quanto molti mi hanno fatto notare sia a Venezia sia a Roma, sia in ambienti ecclesiastici sia laicali.
Sì, certamente. Poi, oltre a essermi consigliato con chi ritenevo potesse aiutare per saggezza e competenza, ho pregato. Ho pregato molto per avere la forza di osare, ma anche per non sottovalutare una situazione che, se trascinata nel tempo, anche dopo le note vicende di cronaca giudiziaria, avrebbe potuto estenuare la Fondazione e ridurre la possibilità di accompagnare i soggetti più fragili. Rimandare per timore una decisione - che comunque era da prendere - significava esporre innanzitutto i dipendenti. Per questo ho pregato molto e posso dire di essere sereno, anche se immagino che - come già avvenuto l’anno scorso per la scuola Giovanni Paolo I - alcuni non capiranno e altri non vorranno capire.
Mi sono recato personalmente a Milano col vicario generale e ho chiesto al Cardinale se lui - che è il “padre” e il fondatore del Marcianum - di fronte al venir meno degli sponsor e alla luce dei recenti fatti veneziani intravedeva strade che io non riuscivo a scorgere. Soprattutto gli ho domandato se intendeva farsi carico della “sua” antica creatura, spiegando a Sua Eminenza che la Diocesi di Venezia non è assolutamente in grado di sostenere l’impegno finanziario necessario, sia per il numero dei dipendenti sia per il fortissimo costo della struttura, dati questi a lui ben noti. Il Cardinale l’ha però escluso ritenendo la strada non praticabile.
No, per non lasciare strade intentate, la stessa richiesta l’ho rivolta anche alla Santa Sede. In questi mesi - lo ripeto - ho tentato tutte le vie, eccetto quelle che ritengo non compatibili con una realtà ecclesiale o non possibili poiché non garantiscono la libertà e l’indipendenza di cui la cultura in genere e quella cattolica in specie hanno bisogno. Senza libertà - lo ripeto - non si dà cultura e ritengo, allora, che sia meglio fare “poco” in modo libero che tentare il “molto” con una libertà ridotta.

La vicenda del Marcianum ha a che fare con quell’esame di coscienza che Lei stessa aveva invocato - poco più di un mese fa, sempre su Gente Veneta e nella precedente intervista - per tutti, Chiesa compresa?
L’esame di coscienza è un mezzo offerto dalla grazia di Dio al cristiano per far chiarezza nella sua vita. Chi poi è chiamato a prender decisioni, soprattutto se si deve misurare con scelte assunte in precedenza da altri e soprattutto se riguardano la vita della comunità ecclesiale, necessita di un serio discernimento in cui hanno grande importanza virtù come la prudenza, la saggezza e la fortezza. Per una valutazione complessiva si deve anche ricordare che, in una Diocesi, la pastorale non si riduce soltanto a quella della cultura e che la pastorale della cultura non coincide con la cultura accademica. Così, nella preghiera e dinanzi a Dio, ho voluto considerare le priorità pastorali: le parrocchie e le collaborazioni interparrocchiali; i poveri (v. l’apertura del dormitorio-mensa a Marghera e intitolato a Papa Francesco); le giovani famiglie; la trasmissione della fede ai giovani; la formazione degli adulti; l’attenzione al clero, al seminario e alla pastorale vocazionale.

La città di Venezia sta vivendo un momento difficile, travolta dalle ultime vicende che l’hanno esposta a tanti livelli... Da dove si può ripartire per ricostruire? Dove e su chi si fonda la speranza per vincere la “depressione” che emerge talora in questi momenti e cominciare ad immaginare (e creare) un futuro nuovo e diverso? 
Il denaro da sempre affascina l’uomo e, quando il denaro è molto, il fascino cresce in maniera esponenziale; lo stesso vale se parliamo di potere economico e di potere politico. Il primo compito che abbiamo in questa situazione è di non fare di ogni erba un fascio, colpevolizzando ingiustamente chi non lo merita. Certamente però chi oggi è caduto non va lasciato solo; chi ha sbagliato sarebbe auspicabile che lo capisse, ne tirasse le conseguenze, ritagliandosi un periodo di riflessione personale e di silenzio. Ma, ripeto, nessuno deve dare giudizi sulle persone, perché il giudizio appartiene solo a Dio che ne è gelosissimo. A noi, piuttosto, viene richiesto il discernimento a partire dai fatti e dalle situazioni perché domani non siamo, a nostra volta, trovati manchevoli. Si tratta di ricominciare dai fondamenti, dall’abc dell’etica, chiamando il bene bene e il male male, e avendo il coraggio di farlo anche quando si è personalmente coinvolti. Partiamo dalle piccole cose proprio perché sono piccole e, quindi, alla nostra portata e di tutti i giorni; le grandi menzogne iniziano dalle piccole menzogne. Lo stesso vale per il “piccolo” appropriamento indebito o la “singola” prepotenza. Dobbiamo tornare a interrogarci sul modo in cui facciamo le cose. Aver conseguito un fine significa ancora poco, veramente poco; è essenziale il modo in cui abbiamo conseguito quel fine. Da qui nasce una regola fondamentale: prima viene il cuore dell’uomo e da lì tutto consegue.

Nella precedente intervista a Gente Veneta faceva riferimento a passaggi dolorosi e sofferti, non sempre capiti. Quest’ultimo, anche sul piano personale, è stato per Lei il più laborioso e difficile?
Mi è stato insegnato che si deve cercar di dare in ogni circostanza il meglio di sé e, perciò, preparando una conferenza o un incontro con i bambini o i ragazzi cerco di non sottovalutare quanto sto facendo. Tutti sappiamo poi, per esperienza, che nella vita ci sono casi in cui non esistono soluzioni gradite a tutti; si tratta, allora, di puntare a quella più giusta sapendo che queste sono le situazioni in cui chi è chiamato a decidere trova maggiori difficoltà. La questione del Marcianum risulta particolarmente delicata; in tali circostanze si trova anche chi potrebbe aiutare e invece… Comunque, conto nell’aiuto del Signore e della Madonna della Salute. E continuo a pregare: a tanti ho chiesto l’aiuto della preghiera e l’ho domandato esplicitamente anche a Papa Francesco.

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