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“Ripartiamo da Nazareth”: l’auspicio del Papa prima del Sinodo

Francesco accolto dalle famiglie in festa, in occasione della veglia di preghiera in piazza San Pietro sabato scorso.

“Ripartiamo da Nazareth”: l’auspicio del Papa prima del Sinodo

A una settimana esatta dalla conclusione dell’Incontro Mondiale di Philadelphia, una nuova grande festa delle famiglie ha avuto come scenario piazza San Pietro, con la veglia di preghiera per il Sinodo dei Vescovi sul tema La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, che aprirà i battenti domani.

In un pomeriggio finalmente soleggiato, dopo le prime intense perturbazioni autunnali dei giorni scorsi, si sono susseguiti canti, interventi dei leader dei principali movimenti - Matteo Truffelli (Azione Cattolica), Salvatore Martinez (Rinnovamento nello Spirito Santo), Kiko Arguello (Cammino Neocatecumenale) – e testimonianze delle famiglie italiane.

Dopo il discorso del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana (principale sponsor dell’evento), è stata la volta dell’omelia di papa Francesco.

“A che giova accendere una piccola candela nel buio che ci circonda? Non sarebbe ben altro ciò di cui c'è bisogno per diradare l'oscurità? Ma si possono poi vincere le tenebre?”, sono state le prime parole del Santo Padre.

“In certe stagioni della vita”, ha proseguito, “simili interrogativi si impongono con forza”, con la “tentazione” a “disertare e a chiudersi, magari in nome della prudenza e del realismo, fuggendo così la responsabilità di fare fino in fondo la propria parte”.

Paradigmatica è, in tal senso, l’esperienza del profeta Elia, che per “calcolo umano”, fugge per “cercare rifugio”. “Poi, sull’Oreb, troverà risposta non nel vento impetuoso che scuote le rocce, né nel terremoto e nemmeno nel fuoco. La grazia di Dio non alza la voce; è un mormorio, che raggiunge quanti sono disposti ad ascoltarne la brezza leggera: li esorta ad uscire, a tornare nel mondo, testimoni dell’amore di Dio per l’uomo, perché il mondo creda...”.

La preghiera di stasera, ha sottolineato il Santo Padre, è la stessa di un anno fa, in occasione del sinodo preliminare straordinario, poiché “come ricordava il patriarca Atenagora, senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la Chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio, la missione in propaganda, il culto in evocazione, l’agire dei cristiani in una morale da schiavi”.

Il pontefice ha quindi esortato a pregare per un Sinodo che sappia “ricondurre a un’immagine compiuta di uomo l’esperienza coniugale e familiare”, riconoscendo e promuovendo “quanto in essa c’è di bello, di buono e di santo” ed abbracciando “ le situazioni di vulnerabilità, che la mettono alla prova”.

Ogni famiglia è, infatti, “sempre una luce, per quanto fioca, nel buio del mondo”; Gesù stesso, per trent’anni, è vissuto in “una famiglia come tante, la sua, collocata in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero”.

Di seguito Francesco ha citato Charles de Foucauld, grande esploratore che abbandonò la carriera militare e che nella Famiglia di Nazareth “avvertì la sterilità della brama di ricchezza e di potere” ed abbracciò la vita eremitica, dopo aver compreso che “è curvandosi sul prossimo che ci si eleva a Dio”.

L’esempio di questo grande convertito dell’epoca moderna ci fa dunque entrare “nel mistero della Famiglia di Nazaret, nella sua vita nascosta, feriale e comune, com’è quella della maggior parte delle nostre famiglie, con le loro pene e le loro semplici gioie”: un “luogo di gratuità” dove “accogliere l’altro, per perdonare ed essere perdonati”.

“Ripartiamo da Nazaret - ha proseguito il Santo Padre - per un Sinodo che, più che parlare di famiglia, sappia mettersi alla sua scuola, nella disponibilità a riconoscerne sempre la dignità, la consistenza e il valore, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla”.

È proprio nella “Galilea delle genti” che potremo trovare una “Chiesa che è madre”, capace di “generare la vita” e di unire la “compassione” alla “giustizia”, altrimenti saremmo “inutilmente severi e profondamente ingiusti”.

Al tempo stesso la Chiesa si appoggia “all’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la pazienza”.

Ma la Chiesa è fatta soprattutto “di figli che si riconoscono fratelli” e “non arriva mai a considerare qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono, che rimane tale anche quando percorre strade diverse”.

La Chiesa indicata da papa Francesco è dunque una “casa aperta”, “lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri”, accessibile a tutti, in particolare a “quanti hanno il cuore ferito e sofferente”; essa può “rischiarare davvero la notte dell’uomo” essendo la prima a vivere “l’esperienza di essere incessantemente rigenerata nel cuore misericordioso del Padre”, ha poi concluso il Pontefice.

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