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ABBIAMO BISOGNO DI OPERATORI DI PACE

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

ABBIAMO BISOGNO DI OPERATORI DI PACE

Sabato 5 novembre a Roma si terrà un’importante manifestazione per la pace, indetta da “Europe for peace”: una piattaforma che raccoglie una miriade di realtà – molto diverse tra loro – e che vede la partecipazione anche di associazioni di matrice cristiana e cattolica. All’Angelus del 1° novembre, solennità di Tutti i Santi, papa Francesco è tornato ad invocare in modo deciso il dono della pace, nella consapevolezza che la pace “non piove dall’alto”, ma ha bisogno di “operatori di pace”: «La pace va costruita e come ogni costruzione richiede impegno, collaborazione, pazienza». «Tutti desideriamo la pace – ha ribadito ancora il Pontefice, commentando il vangelo delle Beatitudini –, ma spesso quello che noi vogliamo non è proprio la pace, è stare in pace, essere lasciati in pace, non avere problemi ma tranquillità. Gesù, invece, non chiama beati i tranquilli, quelli che stanno in pace, ma quelli che fanno la pace e lottano per fare la pace, i costruttori, gli operatori di pace». 

Dopo mesi di combattimento in Ucraina, si fa quindi sempre più pressante l’appello affinché siano avviate trattative di pace. Aspettare che l’Ucraina “riconquisti” tutti i propri territori per parlare finalmente di pace non sembra realistico. Ce la potrà davvero fare? E con quali costi, in termini di mezzi economici e soprattutto di esseri umani... È comprensibile che un Paese che è stato attaccato senta il dovere di ricacciare l’invasore – ad ogni costo – al di fuori dei propri confini. Tuttavia, c’è da chiedersi se debba essere solo questo legittimo sentimento a decidere le sorti del conflitto.

Ci sono, infatti, diverse altre variabili su cui si dovrebbe tornare a ragionare per una valutazione più obiettiva della situazione: a partire dallo “statuto” della Crimea, sino a quello delle altre due regioni dell’Ucraina dell’est da cui tutto è cominciato (Donetsk e Lugansk). Soprattutto – e in questo l’Europa ha delle responsabilità – si dovrebbe tornare a fare luce sulla guerra “a bassa tensione” che dal 2014 si stava svolgendo proprio in quei territori. Come pure sull’atteggiamento piuttosto “leggero” della Nato che si è mossa verso oriente senza troppa cautela.

Pertanto, tenendo ben fermo il fatto che la Russia ha invaso in maniera ingiustificata e ingiustificabile un Paese confinante – con cui tra l’altro intrattiene da sempre importanti vincoli economici, culturali, religiosi... –, è sempre più evidente che non si può cercare la pace semplicemente armando, e a tempo indeterminato, l’Ucraina. Vanno attivati altri percorsi per un rilancio delle trattative tra i due Paesi. Da questo punto di vista, la Nato e soprattutto gli Usa hanno la possibilità (e la responsabilità storica) di spingere nella direzione di una ripresa delle trattative. Continuare a fornire armi in un conflitto il cui esito non è affatto scontato potrebbe essere controproducente anche per loro (e per tutti). La Russia, anche se in difficoltà, ha un’economia più resiliente di quanto si immaginasse e il popolo russo non sembra intenzionato a “rovesciare il tiranno” come troppo facilmente si favoleggia in Occidente. Per tacere del suo esercito che, per quanto possa essere “male in arnese” come sostiene una certa narrativa occidentale, resta comunque uno dei primi del mondo.

Prima che la situazione precipiti ulteriormente, è necessario far sentire la propria voce e chiedere l’avvio di trattative di pace. Per questo, come comunità cristiane, oltra alla solidarietà al martoriato popolo ucraino è necessario fare qualcosa di più. Pur senza necessariamente aderire alla manifestazione di Roma del 5 novembre, si possono cercare altre vie: per lo meno, quella della preghiera personale e comunitaria come sta avvenendo in alcune diocesi e in alcune comunità. In ogni caso, facciamo qualcosa. La pace non piove dal cielo: ha bisogno di operatori di pace.

Alessio Magoga

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