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ACCOGLIENZA: SI CAMBIA DAVVERO?

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

Parole chiave: migrazioni (1), Zaia (4), accoglienza (3), immigrati (3), migranti (8), Caritas (12), Veneto (17)
ACCOGLIENZA: SI CAMBIA DAVVERO?

Un conto è fare l’opposizione. Un conto è essere al governo. Vale per tutti. Vale anche per la compagine governativa attualmente in carica. È sotto gli occhi di tutti, ad esempio, il progressivo cambiamento di visione in merito alla gestione del fenomeno migratorio. Dal blocco navale, invocato a più riprese, si è passati al “piano Mattei” per l’Africa di concerto con l’Europa, per arrivare poi ai tavoli di dialogo con i Paesi di partenza dei migranti realizzati insieme alle maggiori autorità dell’Unione Europea (come quello in corso con la Tunisia). Strade in salita, per la verità, già tentate anche da precedenti governi e i cui esiti non sono sempre quelli attesi.

In ogni caso, è innegabile un cambiamento di prospettiva in cui emerge un prevalere – e, aggiungiamo noi, per fortuna – del principio di realtà: una cosa sono i proclami “acchiappa voti” in campagna elettorale; un’altra è affrontare concretamente i problemi che la realtà pone e che non è solita fare distinzioni tra destra, centro, sinistra... Il principio di realtà o – se vogliamo – lo spirito pragmatico in merito alla gestione dei flussi migratori traspare anche dalle recenti prese di posizione del presidente del Veneto, Luca Zaia, in sintonia con Mario Conte, sindaco di Treviso e presidente veneto dell’Anci (l’Associazione dei Comuni italiani). È noto che Zaia ha recentemente proposto al Ministero degli interni un protocollo “veneto” per la gestione dell’accoglienza dei migranti.

Tale protocollo introduce almeno un elemento nuovo, vale a dire la richiesta di «una cabina di regia nella quale si coinvolgano la Regione e l’Anci», affinché le decisioni circa le modalità e i luoghi di accoglienza non siano in capo esclusivamente a Ministero e Prefetti ma siano condivise con gli enti locali (Regione e Comuni in testa). L’obiettivo principale del protocollo – bisogna dirlo – è di carattere “difensivo”, cioè quello di scongiurare l’allestimento di tendopoli in Veneto (tipo quella di Cona, nel Veneziano, chiusa definitivamente nel 2018, in seguito alle forti criticità emerse, tra cui la morte di Sandrine, una migrante ospite).

Tuttavia, al protocollo veneto vanno ascritti almeno due meriti. Il primo è la consapevolezza che il fenomeno migratorio esiste e va gestito: «Noi in quanto politici – sono ancora parole di Zaia – dobbiamo saper gestire i flussi migratori». In sostanza, non si può più chiudere gli occhi su tale fenomeno né limitarsi a slogan (“blocco navale”, “chiudete le frontiere”…).

Il secondo merito riguarda il modello di accoglienza che di fatto viene proposto, anche se in una forma ancora un po’ timida: si tratta della cosiddetta “accoglienza diffusa”, vale a dire la distribuzione dei migranti non in grandi tendopoli (come nell’esperienza fallimentare di Cona, appunto) ma in tanti piccoli centri, con il coinvolgimento dei Comuni e di altri enti del Terzo settore (tra cui anche le realtà di volontariato e le comunità cristiane). Anche su questo tipo di esperienza, l’accoglienza diffusa, ci sono luci e ombre ed è una strada già percorsa, soprattutto all’epoca dei governi del centrosinistra (Renzi, Gentiloni...). Nonostante le inevitabili fatiche, tuttavia, questa modalità si è rivelata senza dubbio più gestibile rispetto alle grandi tendopoli.

I sindaci (anche quelli del centrodestra) saranno disposti a mettersi in gioco per un’accoglienza diffusa? Le comunità cristiane saranno in grado di portare un contributo significativo all’interno di questo progetto? Pur con le debite distinzioni, il caso dell’accoglienza dei profughi ucraini ha dimostrato che il territorio, anche quello veneto, quando è messo nelle condizioni di comprendere la situazione di necessità, sa attivarsi e rispondere positivamente.

Alessio Magoga

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