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Che cosa ti è successo, Europa?

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

Che cosa ti è successo, Europa?

n recente studio ha rilevato che in Belgio, dove l’eutanasia è legale da tempo, essa ha raggiunto i duemila casi all’anno, cioè il due per cento dei decessi totali. Tra il 2008 e il 2013, nel Paese sede delle principali istituzioni europee, sono raddoppiate le persone che vi ricorrono per i motivi più vari, tra i quali lo stato iniziale di malattie degenerative e forme di depressione. Secondo Benoît Beuselinck, oncologo dell’Università di Lovanio: “L’eutanasia sta diventando una morte come le altre”. Studi demografici evidenziano come solo due Paesi in Europa dal 1975 fino ad oggi abbiano mantenuto un tasso di fecondità sufficiente per tenere “vivi” i loro popoli (cioè superiore a 2) e sono l’Albania e l’Islanda: tutti gli altri Paesi europei hanno un tasso inferiore e l’Italia si trova - come si sa - nelle posizioni più basse della classifica. Nel 2004, guardando all’Europa da una prospettiva spirituale e culturale, l’allora cardinal Ratzinger parlava di “un odio di sé” del mondo occidentale: “L’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro”.

Queste drammatiche considerazioni - insieme ad altre - inducono a pensare che la civiltà occidentale sia entrata effettivamente in un periodo di decadenza: un’Europa “nonna” - così l’ha definita papa Francesco nel suo discorso per il conferimento del premio “Carlo Magno” - “stanca e invecchiata, non fertile e vitale…, un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice”. Un certo svuotamento della dimensione spirituale dell’uomo europeo e la sua presa di distanze dalla fede cristiana, attraverso varie forme di indifferentismo più o meno ideologicamente fondato, hanno certamente contribuito a questo stato di cose. Ciò ormai viene riconosciuto da più parti: la diagnosi è dolorosamente chiara. Tornando al discorso del Papa, trovo quanto mai efficace ed attuale la sua insistenza sull’ultimo dei tre verbi che hanno articolato la sua riflessione: “generare”. Qui egli traccia con concretezza una “prognosi” e indica quello che possiamo fare. In primis, coinvolgersi tutti: “Nessuno può limitarsi ad essere spettatore né mero osservatore”, perché tutti, dal più piccolo al più grande, sono parte attiva nella costruzione di una nuova Europa. In secondo luogo, il Papa insiste sul ruolo che i giovani sono chiamati ad assumere: “Non possiamo pensare il domani senza offrire loro una reale partecipazione come agenti di cambiamento e di trasformazione. Non possiamo immaginare l’Europa senza renderli partecipi e protagonisti di questo sogno”.

Papa Francesco sa bene - terza sottolineatura - che i giovani possono diventare protagonisti solo se avranno un posto di lavoro dignitoso, che consenta loro di guardare al futuro e di fare progetti. Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economici più equi e orientati al bene della società: “Dobbiamo passare - ribadisce il Pontefice - da un’economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti, a un’economia sociale… in cui le persone e le comunità possano mettere in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione”.

Infine, in questo processo di ringiovanimento dell’Europa, la Chiesa ha un contributo importante da dare: quello di sempre, cioè l’annuncio del Vangelo. Andando incontro alle ferite dell’uomo e portando “la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante”, la Chiesa potrà offrire l’acqua pura del Vangelo - la sua forza spirituale - alle avvizzite radici dell’Europa, perché torni ad essere “giovane” e ad essere “madre”: “Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile”.

Alessio Magoga

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