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Chiesa in uscita e germogli di fede

L'editoriale del direttore de L'Azione don Alessio Magoga.

Chiesa in uscita e germogli di fede

Lunedì di Pasqua, verso mezzogiorno. Torno a casa. Il tour-de-force della Settimana santa è finito. Il pensiero va al pranzo coi familiari, al riposo e poi agli impegni impellenti della nuova settimana già alle porte. La mia è una realtà non diversa – né più né meno – da quella di tanti uomini e donne di oggi, pressati non da impegni pastorali ma da impegni di famiglia e di lavoro... Ritorno col pensiero a quanto vissuto in questi otto giorni, intensi e anche un po’ rubati, perché vissuti – come tutti d’altronde – in mezzo a varie preoccupazioni.

Un dato evidente che mi ha subito preso l’attenzione è che le folle di venti o anche solo dieci anni fa non ci sono più. La cosa balza agli occhi nelle parrocchie medio-piccole. I riti della Settimana santa tengono abbastanza ma non muovono più le folle. Il confronto con il passato è piuttosto duro. Lo diventa ancora di più se penso all’affluenza alla celebrazione del sacramento della penitenza: le code interminabili del pomeriggio del Sabato santo non ci sono più, ormai da tempo... Allora capisco meglio che cosa voglia dire papa Bergoglio con la sua “Chiesa in uscita”: non basta aspettarli, perché non verranno da soli.

Bisogna trovare il modo per uscire in missione e bisogna andare a cercarli per incontrarli. Poi mi chiedo quanto sono missionario, quanto sono disposto ad uscire, quanto oggettivamente posso farlo... e mi sento combattuto. Un confratello – commentando l’espressione “Chiesa in uscita” – diceva ironicamente che è un’espressione per dire il movimento di uscita di tanti fedeli che se ne vanno. Ho in mente l’immagine dei fedeli che – appena impartita la benedizione – se ne escono dalla chiesa senza attendere il canto finale. E poi penso – come mi suggeriva un fedele – al fatto che esser preti “mordi e fuggi” non paga in senso pastorale e – confessiamolo – neanche dal punto di vista umano. Un noto studioso diceva provocatoriamente che le unità pastorali rischiano di essere degli agglomerati pastorali senza relazioni vere tra pastore e comunità cristiana in cui “nessuno vuole bene a nessuno”. Espressioni esagerate, certo, che però lasciano trapelare qualcosa di vero.

Ripensando a questi otto giorni, senza voler spiritualizzare i problemi in campo, che restano tutti, devo ammettere che – grazie a Dio! – c’è anche dell’altro. Dentro alla nostra pastorale si intravedono ancora delle storie di resurrezione. Certamente è vero che oggi sono meno di un tempo i praticanti, ma tra questi si celano storie di fede belle e significative. Definirle “edificanti” è troppo poco. Quasi vien da esser presi da stupore. Nonostante tutto il movimento contrario, la fede in qualcuno – persino nel nostro mondo! – continua a mettere radici, a germogliare e a produrre frutti. Forse questo è il miracolo più grande: nonostante tutto ci sono ancora dei bambini, dei giovani e degli adulti (non solo anziani) che credono in Dio, che sentono Gesù Cristo come una presenza viva nella loro vita, che desiderano seguirlo come Maestro. Poi penso a quel gruppo di fedelissimi che ha partecipato ai riti della Settimana santa. Sono quelli che... se c’è bisogno di sistemare le porte della chiesa sono lì; quelli che cantano, fanno i catechisti, sono membri del consiglio pastorale e delle attività della comunità... “Son sempre loro” dirà qualcuno.

Ma sono lì, attivi e consapevoli, decisamente partecipi della liturgia e del mistero celebrato. Questo sì è un grande balzo in avanti rispetto al passato. E poi ci son quelli che si affacciano alla vita della comunità cristiana solo nelle grandi occasioni. Bisogna riconoscere che alcuni appuntamenti – a seconda della tradizione della singola parrocchia – tengono e sono ancora molto frequentati. Penso alla domenica delle Palme, alla Via Crucis per le vie del paese, alla messa di Pasqua... Sì, lo sappiamo, verrebbe da chiedere loro: “E tutte le altre domeniche dove siete?”. Ma è una domanda inutile. Importante è che vengano, perché il Signore trova il modo per raggiungerli, attraverso un gesto della liturgia, una parola del suo vangelo, la presenza della comunità… magari anche attraverso una parola calda e umana del celebrante che ha il buon sapore del vangelo (a volte succede!).

Torno alle mie occupazioni. Riprendono altri impegni. I problemi restano. Anche le domande: “Quale chiesa lasceremo a chi verrà dopo di noi? E ai seminaristi ora in formazione?”. Ma il Cristo risorto, con il suo Spirito, è all’opera anche oggi in questa Chiesa e sta preparando qualcosa di grande, che noi oggi non osiamo nemmeno immaginare. “La risurrezione di Cristo – dice Bergoglio – non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione”.

Don Alessio Magoga

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