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Corruzione dilagante: non c'è più nemmeno vergogna e indignazione

L'editoriale del direttore don Giampero Moret.

Corruzione dilagante: non c'è più nemmeno vergogna e indignazione

Il racconto delle ruberie e della corruzione è diventato una rubrica fissa nei mezzi di comunicazione. Ogni mattina quando apriamo il giornale c’è l’elenco delle malefatte del giorno precedente. Ha ragione il procuratore capo di Roma che ha parlato di “deprimente quotidiana corruzione”. C’è il pericolo che il Paese ci faccia l’abitudine e non abbia più la forza di indignarsi. E c’è il pericolo ancora maggiore che la coscienza degli italiani perda la sensibilità nei confronti dell’onestà e consideri cosa del tutto innocente rubare qualcosa allo Stato, non grandi ruberie, ma qualche piccola disonestà: non esigere la ricevuta fiscale, nascondere qualcosa al fisco, fare il regalino a chi può farci ottenere un beneficio. Cosette del genere: cosa sono mai nei confronti di quei furfanti che rubano a tutto spiano? Ma è dai piccoli movimenti che poi si produce la frana. Il quadro della moralità pubblica è veramente deprimente. Non c’è realizzazione di grandi opere che non sia accompagnata da un processo per corruzione, dalla ricostruzione dell’Aquila, al Mose, all’Expo, alle strade dell’Anas. Non c’è emergenza, come i frequenti disastri naturali o l’arrivo massiccio di immigrati, in cui il malaffare non ci metta sopra le sue grinfie. Non c’è istituzione pubblica che per sua natura comporti il passaggio di molto denaro, come l’Inps (fatti di questi giorni), in cui qualche funzionario o politico, non faccia deviare il flusso verso le proprie tasche. È poi tutto il gran corpo dell’amministrazione pubblica, a tutti i livelli che, con le dovute eccezioni, si mostra inadempiente ai suoi doveri.

Il caso dei dipendenti del Comune di Sanremo che timbrano il cartellino e se ne vanno ai propri affari, è sintomatico. er quanto dilagante sia la corruzione, non possiamo rassegnarci e conviverci come fosse naturale: in realtà è un cancro che porta alla morte. Se non si combatte con tutte le forze, ne va della stessa democrazia. Il compito di garantire la legalità spetta al potere politico. Ora gran parte del male sta proprio là. Non solo l’ambito politico è pieno di corrotti, ma sembra che faccia troppo poco per contrastare la corruzione. La scorsa settimana il presidente dell’associazione dei magistrati, Roberto Sabelli, ha incolpato il governo di combattere scarsamente la criminalità economica, suscitando una forte irritazione nell’esecutivo. Il procuratore capo di Palermo, Roberto Scarpinato, intervistato da “Il fatto quotidiano”, ha specificato l’accusa in una “triade micidiale”: pene troppo deboli, prescrizione troppo breve per i reati, processi troppo lunghi. Uno mette insieme questi tre ele- P menti e tira la conclusione che conviene delinquere. Il rischio di dover pagare pesantemente per una tangente è minimo, mentre il guadagno è certo. Infatti, nel caso che tu venga scoperto, basta procurarsi un avvocato un po’ accorto e il reato cade facilmente in prescrizione. Il procuratore ha riferito anche un dato che avvalora questa sua denuncia: nel 2013 i detenuti nelle carceri italiane per reati di corruzione erano 31 su un totale di 24 mila 744 detenuti. Pochissimi, nonostante il fioccare continuo di arresti e di rinvii a giudizio. Propone l’ovvia misura del prolungamento della prescrizione, accorciata da Berlusconi, ma la proposta non riesce a passare. a per quanto indispensabili, le leggi e l’azione dei magistrati non bastano. La politica deve agire a monte e prevenire la corruzione controllando più severamente tutti quei settori dove più facilmente si annida. È stata utile in questo senso l’istituzione dell’Autorità nazionale anticorruzione diretta da Raffaele Cantone. E ancor prima dell’azione politica, è tutto il corpo della società che deve creare in sé gli anticorpi. Sono le associazioni imprenditoriali che devono vigilare sui loro associati e agire con decisione quando si comportano male. Il volontariato può svolgere un ruolo importante, ma sono ancora scarse le associazioni che aggregano i cittadini per controllare l’operato dell’ammini- M strazione pubblica. La sistematica vigilanza dei cittadini può mettere in luce le malefatte più efficacemente di ogni intervento pubblico. Infine, ma è il punto di partenza, c’è l’educazione alla legalità. È la cultura che informa la società che deve cambiare. È la coscienza di ogni cittadino che deve essere educata all’onestà più intransigente. La coscienza onesta è il vero Dna che regola tutte le attività dei singoli e del corpo sociale. A questo livello il compito principale spetta innanzitutto alla famiglia (ricordate il “pane sporco” denunciato da papa Francesco, messo sulla tavola familiare), poi alla comunità religiosa e alla scuola. Mantenere sane queste istituzioni è questione di vita o di morte per la società.

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