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DALL’ODIO “SOCIAL” ALL’ODIO SOCIALE: URGENTE SVELENIRE IL CLIMA

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

DALL’ODIO “SOCIAL” ALL’ODIO SOCIALE: URGENTE SVELENIRE IL CLIMA

“Odio sociale”: l’espressione alquanto forte è stata usata – per la verità solo di passaggio – dal governatore Zaia nel suo intervento nell’ambito del “Convegno tecnico: prospettive sul territorio”, svoltosi a Pieve di Soligo la scorsa domenica. L’odio sociale, nell’analisi del presidente della Regione Veneto, consiste in una sorta di accanimento, cui si sta assistendo da alcuni anni, contro quanti operano nel settore del Prosecco, a cominciare dai viticoltori. Secondo Zaia, questo odio trova la sua origine nell’invidia nei confronti del successo dell’intera filiera del Prosecco, sancito ulteriormente dal riconoscimento a patrimonio Unesco dei territori di Conegliano-Valdobbiadene. In realtà, l’odio sociale – dando uno sguardo all’intera società italiana – è trasversale a molti ambiti del vivere comune, che intacca persino quello ecclesiale. Traspare in modo piuttosto evidente dalla polarizzazione e “personalizzazione” del dibattito politico di queste settimane. Certo, il termometro della tensione politica segna punte molto alte da parecchio tempo, tuttavia – stando agli scambi tra i politici di questi ultimi giorni – sembra che la temperatura si stia surriscaldando. Sul tappeto ci sono sfide importanti, che hanno il sapore della resa dei conti. Penso alla “partita” dell’autonomia del Veneto, di cui il 22 ottobre scorso ricorreva il secondo anniversario dalla data del referendum. È evidente la crescente insofferenza dei leghisti veneti, a cominciare dallo stesso Zaia, dinanzi alla lentezza del percorso verso l’autonomia, che viene da loro attribuita in toto al governo centrale: prima al governo Gentiloni, poi al Conte I ed ora al Conte- bis.

Penso anche alle ormai prossime elezioni regionali – domenica si vota in Umbria – che si profilano come scontro decisivo tra le due opposte “alleanze”: da un lato la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, dall’altro il Movimento 5 stelle, Partito democratico, Liberi e uguali e il nuovo soggetto politico, Italia viva. Impossibile non pensare alle regionali come ad una prova di forza che avrà forti ricadute su quello che è l’assetto politico nazionale. Dai dibattiti televisivi dei giorni scorsi – solo per citarne uno: quello che ha visto confrontarsi i due Matteo da Bruno Vespa – o dalle “convention” vale a dire i raduni politici più recenti – come quello di Roma o, fatte le debite distinzioni, quello di Firenze – emerge un quadro politico teso e sicuramente in fermento. Mentre, da un lato, si coglie nel linguaggio di alcuni capi politici un incipiente cambio di stile, più rassicurante ed incline alla moderazione, che invita alla “pazienza” e sembra evitare gesti eclatanti, dall’altro sulla rete e nei social ormai cronicizzano, tra i simpatizzanti dei diversi schieramenti, linguaggi sprezzanti e violenti, per i quali l’espressione “odio sociale” sembra quanto mai adeguata. Purtroppo sul web – così gli esperti del settore – creano maggiore interesse, e quindi un maggior numero di visualizzazioni, proprio le notizie che sono fonte di divisione e di contrapposizione: quelle, appunto, che parlano alla pancia delle persone e in vario modo, senza fare troppi “distinguo”, veicolano messaggi di odio “social”. Alcuni politici hanno compreso perfettamente come funziona il sistema e si sono dotati di una vera e propria “macchina da consenso” (una “bestia”, come è stata definita), contribuendo – senza troppi scrupoli – ad aumentare la tensione. Che fare per svelenire il clima? Se è vero che per primi a cambiare stile dovrebbero essere i nostri politici, chi più chi meno, perché non sono tutti sullo stesso piano, è altrettanto vero che molto dipende anche da tutti noi: non prestandoci, ad esempio, al gioco della polarizzazione e non abboccando a chi spaccia notizie false, propone illusorie semplificazioni e vede la realtà solo in bianco e nero (“noi abbiamo ragione, loro hanno torto”). In queste settimane circola una bella canzone: “Io sono l’altro” di Niccolò Fabi. Si tratta di un accorato invito a mettersi nei panni dell’altro – proprio quello che è diverso da noi e ci dà fastidio – e a farci un giro con i suoi vestiti: “E poi – conclude la canzone – mi dici”. Forse, con questo semplice esercizio, si scopre che l’altro non è poi così lontano e diverso da noi e può cambiare il nostro modo di guardarlo… E, magari, finisco per vedere nel volto dell’altro – ambientalista o viticoltore, leghista o pieddino, grillino o forzista che sia – un fratello.

Alessio Magoga

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