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EDUCAZIONE E POVERTÀ

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga

EDUCAZIONE E POVERTÀ

Povertà e educazione. Sono queste le due principali fratture che – secondo il presidente della Cei, mons. Gualtiero Bassetti – il Covid-19 ha creato e continua a creare nella società italiana. «La crisi economica, conseguente alla crisi sanitaria – ha detto lunedì scorso nell’introduzione ai lavori della Commissione permanente della Cei –, ha messo in ginocchio molti piccoli imprenditori e altrettante famiglie». I dati forniti da una rivelazione nazionale di Caritas italiana dello scorso febbraio rivelano, per il 2020, dati impressionanti: «Nel corso di dodici mesi – ha affermato Bassetti – sono state quasi due milioni le persone supportate, in varie modalità, dai servizi promossi dalle Caritas diocesane e parrocchiali».

A dare conferma alle parole del presidente della Cei, le foto della lunga fila di persone in attesa di ricevere il pacco viveri all’esterno della sede dell’onlus laica “Pane quotidiano”. Queste foto, pubblicate in questi giorni, hanno fatto scalpore perché sono state scattate a Milano, la “capitale” economica dell’Italia. I volontari dell’associazione affermano che non è la prima volta che ciò accade (file molto lunghe si erano verificate anche a settembre e dicembre). Quello che notano tra quanti bussano alla loro porta è un aumento di presenze di giovani e cittadini italiani: segno di un disagio che si sta progressivamente allargando nel tessuto sociale del Paese. L’altra frattura indicata da mons. Bassetti riguarda l’educazione: «La pandemia sta incidendo pesantemente sui contesti educativi delle nuove generazioni... La didattica a distanza ha messo in luce il doloroso divario, non solo digitale, che attraversa l’Italia al Nord come al Sud e non permette a tutti i nostri ragazzi di fruire del diritto all’istruzione a parità di condizioni».

Come abbiamo scritto già su L’Azione, sono proprio i bambini e i ragazzi che, per vari motivi, si trovavano già prima della pandemia in una situazione di svantaggio a fare maggiormente le spese di questo tempo di crisi: ora sono posti in una posizione di maggiore rischio di marginalizzazione e abbandono scolastico. Anche le famiglie – soprattutto quelle con bambini piccoli in età da nido o scuola dell’infanzia, attualmente chiusi a causa del Covid – sono duramente penalizzate, trovandosi nell’impossibilità di accudire i propri figli e, contemporaneamente, gestire il lavoro.

Che fare, quindi, per fronteggiare tale situazione? Senza dubbio è chiesto alla politica – e in particolare al governo Draghi – un intervento economico forte a sostegno delle fasce di popolazione più colpite e, magari, un allentamento delle restrizioni in vigore per la scuola: penso soprattutto al nido e alla scuola dell’infanzia, come da più parti giustamente si invoca in questi giorni. Bisogna poi procedere spediti con il programma di vaccinazione per portare fuori l’Italia – il più presto possibile – dalla pandemia e far ripartire il Paese sotto ogni profilo.

Al tempo stesso, però, è necessario riconoscere che lo Stato – con qualunque governo al comando – non potrà mai dare, quasi magicamente, le soluzioni a tutti i problemi. Dobbiamo toglierci questa illusione di stampo “paternalistico”: ci troviamo dentro ad una situazione di emergenza che, dal Dopoguerra ad oggi, non ha precedenti. Bisogna fare appello, quindi, ai “corpi intermedi”, alle associazioni di vario genere, al tessuto comunitario civile ed ecclesiale del nostro Paese, perché venga offerto un sostegno a chi oggi è in maggiore difficoltà: c’è una dimensione comunitaria e solidaristica che tutti – Chiesa compresa – dobbiamo esprimere con maggiore convinzione proprio in questo tempo di prova. E poi, come ci ha scritto una lettrice in una bella lettera (pubblicata ne “La posta dei lettori”), bisogna fare appello alle nostre migliori risorse e imparare dalla pazienza di quel contadino, che, dopo la grandine che aveva devastato il suo raccolto, senza indugio è uscito nel campo con i suoi arnesi – “la pala luccicante” – nella convinzione che “si doveva ricominciare”.

Alessio Magoga

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