EUROPA, È QUESTIONE DI CUORE
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.
L'Europa sta ancora a cuore agli italiani? Nonostante tutto, sembra di sì. Almeno questa è l’impressione che si è avuta lo scorso 14 marzo, dinanzi alla notevole partecipazione all’incontro promosso dal Movimento federalista europeo e tenutosi a Vittorio Veneto. Anche in Italia c’è un risveglio di attenzione nei confronti dell’Europa: nell’ottobre scorso un’indagine ha stimato che il 65 per cento degli italiani è ancora a favore dell’euro. Forse questi segnali indicano che gli italiani vogliono battere un colpo e mettersi in gioco in quella che potrebbe essere – così l’ha definita il prof. Giorgio Anselmi che ha introdotto la serata del 14 marzo – “l’ultima sfida e un momento di svolta”, vale a dire le votazioni europee del prossimo maggio. Secondo Anselmi, l’ormai vicina tornata elettorale vedrà contrapporsi, al di là degli schieramenti partitici, due fazioni: da un lato, chi vuole un’Unione europea sempre più federale – come auspicato da alcuni fondatori dell’Ue quali Altiero Spinelli –; dall’altro, chi vuole ribadire il sovranismo e conseguentemente rimanere all’interno delle vecchie contraddizioni nazionalistiche, ben rappresentate dall’attuale premier dell’Ungheria, Viktor Orban. (In Ungheria esiste un solo testo scolastico per l’insegnamento della storia e la scelta è appannaggio del governo). Il percorso di integrazione che ha portato l’Ue dai sei Paesi fondatori (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo) agli attuali 28 (27 qualora la Gran Bretagna dovesse effettivamente uscire in conseguenza della Brexit) è stato ed è tuttora un processo straordinario. Allo stesso tempo va detto che è fragile e deve ancora essere portato a compimento. In questi ultimi anni, in particolare, ha soffiato sul fuoco dell’euroscetticismo una serie di fattori. Solo per citarne alcuni: la crisi economica, che però è nata negli Usa, non in Europa; il fenomeno migratorio, che ha fatto emergere e collidere punti di vista diversi tra gli Stati membri; il terrorismo di matrice islamica; il consolidarsi nella macchina amministrativa dell’Unione di un approccio burocratico, percepito dai singoli Stati come asfittico ed elefantiaco; alcuni effettivi errori di valutazione (il caso della Grecia)…
Va preso in considerazione poi anche il ruolo dei Paesi dell’Est, entrati nell’Ue tra il 2004 e il 2007: il loro ingresso è stato un passaggio certo necessario, ma al tempo stesso un po’ affrettato, perché ha fatto entrare in Europa dei Paesi che – in conseguenza della loro storia – non avevano maturato un approccio culturale e politico tale da aderire con convinzione agli ideali europei. Ed ora si vede tutta la distanza tra le posizioni di Ungheria e Polonia (ma non solo) e quelle che gli altri Paesi europei, pur in mezzo a tante contraddizioni, vorrebbero perseguire. Ma ci sono altri motivi che hanno indebolito il senso di appartenenza all’Unione. «Quando chiedo agli studenti – ha raccontato il prof. Anselmi – quali sono i vantaggi che ha portato l’Unione europea, quasi nessuno risponde: “La pace”. Poi domando loro perché non sia venuta loro in mente questa parola e dicono: “Perché la davamo per scontata!”». La responsabilità di questo arretramento del senso di Europa grava in parte anche sugli “euroconvinti” che non sono stati bravi a mostrare i vantaggi dell’appartenenza all’Unione. Il politologo Gianfranco Pasquino, sempre nella serata del 14 marzo, ha insistito con particolare forza proprio su questo punto: mostrare quali sono i vantaggi dell’appartenere all’Ue. L’Europa non ha mai conosciuto un tempo di pace così prolungato come in questi ultimi 70 anni e la condizione economica degli Stati membri è complessivamente migliore rispetto al momento del loro ingresso nell’Unione. «L’Europa – ha affermato Pasquino – è il più grande spazio di libertà e di civiltà, di diritti civili, politici e sociali al mondo». Se pensiamo poi allo stato della salute, ogni Paese dell’Ue ha un servizio sanitario nazionale che non ha eguali nel mondo, tanto meno negli Usa. Il livello medio di istruzione degli Stati dell’Ue è decisamente al di sopra di Cina ed India e non è affatto al di sotto di quello degli Usa: «Le università europee – ha ribadito Pasquino – sono a livelli elevatissimi e così pure i licei europei ». L’Europa è poi uno spazio di democrazia e la democrazia – ha ancora sottolineato il politologo – è un sistema che si corregge e si migliora grazie al dibattito parlamentare e alle elezioni: per questo è necessario il contributo di tutti, anche dei sovranisti, per migliorare il sistema-Europa, rendendolo più efficiente. Infine dovrebbe essere chiaro a tutti che i problemi di oggi – dalla crisi economica all’emigrazione, al terrorismo – si potranno risolvere solo insieme, non da soli, pena l’essere fagocitati dalle grandi potenze mondiali: Stati Uniti, Russia e Cina, in testa. «Quello che non sono riusciti a fare gli europeisti – ha concluso Pasquino – è non far capire che l’Europa è di più di un certo numero di Stati che si mettono insieme per motivi economici… Ci dovrebbe essere un passaggio di emozione. Qualcuno ha detto che la politica si fa con il cervello, ma non con il cervello soltanto. Lo stesso si può dire per l’Ue di domani, che sarà fatta con il cervello, certo, ma non solo con il cervello. Dobbiamo riuscire a comunicare ai cittadini che l’Europa è il luogo migliore al mondo e possono renderlo ancora migliore, anche con il fatto di andare a votare». Ci vuole un passaggio di emozione, allora, per far tornare a battere il cuore per l’Europa, perché in realtà questa è anche la scelta più logica e più conveniente per tutti.
Alessio Magoga
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