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I LAVORI CHE NON PIACCIONO

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

I LAVORI CHE NON PIACCIONO

Forse sarà capitato anche a voi di entrare in un negozio o in un supermercato oppure di fare benzina in un distributore e di leggere, a chiare lettere, un cartello con scritto: "Cercasi...". Sì, cercasi personale. Spesso alla domanda: "Ma non avete già trovato?", la risposta è: "No, non ancora. Facciamo fatica". Gli interrogativi sorgono spontanei e si moltiplicano le riflessioni.

Vi è chi dà la colpa al reddito di cittadinanza che disincentiverebbe la ricerca di un posto di lavoro, realizzando proprio l’obiettivo opposto rispetto al quale è stato pensato. Se guardiamo ai dati, però, si scopre che in Veneto sono poco numerosi, rispetto alla media nazionale, quanti ne hanno fatto richiesta. Per qualcuno il reddito di cittadinanza avrebbe inciso a livello di "cultura", del tipo che "anche se non lavoro, qualcuno mi dovrà dare dei soldi per vivere".

Non manca poi chi attribuisce la responsabilità di questo stato di cose alle giovani generazioni che sarebbero un po’ troppo "choosy" – per citare un termine reso celebre dall’ex-ministro Elsa Fornero e che significa fondamentalmente “esigente, selettivo” – e non si adatterebbero a certe categorie di lavoro, perché considerate "troppo umili". Si tratterebbe quindi di una “questione di cultura” dei giovani, in primis, ma anche delle loro famiglie, che considererebbero troppo squalificante un lavoro prevalentemente manuale per i loro pargoli: “Te à fat e scuoe alte: vutu far ch’el lavoro là?”.

C’è poi chi denuncia un certo tipo di contratti vigenti o, peggio, la triste prassi del lavoro “in nero” (o, più facilmente, un po’ in nero e un po’ in regola) che pongono i dipendenti in una condizione di oggettivo svantaggio. Il loro lavoro sarebbe, pertanto, mal retribuito e a condizioni per lo più inaccettabili: "Se li pagassero meglio - sostengono costoro -, troverebbero subito chi fa anche questo genere di lavoro!". Tra questi vi è anche chi invoca un salario minimo.

Per completare il quadro, o forse per renderlo semplicemente meno incompleto, andrebbero aggiunti ulteriori aspetti. La situazione demografica, ad esempio. I giovani di oggi sono meno – e molto meno – rispetto ai giovani di solo qualche decennio fa. Non ci sono. Mancano. Avete mai fatto caso alla forbice tra battezzati e morti nelle nostre parrocchie? “Quello demografico – diceva allarmato un sindaco qualche giorno fa – è il vero problema: stiamo chiudendo una dopo l’altra le nostre scuole!”. Non va trascurato poi il fenomeno dei “nostri” giovani che vanno all’estero per cercare lavoro: si tratta di cervelli in fuga, sì, ma non solo. Spesso si tratta di giovani che semplicemente vogliono fare esperienza (formativa, di vita, culturale…) in un Paese europeo e apprendere bene una lingua straniera. E poi scoprono che il mondo del lavoro fuori dell’Italia è molto più dinamico ed offre maggiori opportunità ed una migliore retribuzione. Così succede che un’esperienza che, in partenza, avrebbe dovuto durare solo qualche mese, si prolunga e diventa anni di lavoro all’estero. Torneranno un giorno in Italia? Chi lo sa.

Un capitolo a parte meriterebbe la categoria dei “non più giovani”: mi riferisco agli adulti che per vari motivi – crisi economica, difficoltà personali, fallimento dell’azienda in cui lavoravano... – si trovano “a piedi”, senza un lavoro, e per i quali inventarsi una nuova occupazione diventa spesso molto complicato: “Te si massa vecio par far sto lavoro qua!”. Talvolta anche per loro l’estero si rivela un’opportunità, dolorosa ma al tempo stesso più vantaggiosa che restare in Italia.

Come sia come non sia, a torto o a ragione, quelle mansioni per le quali non si trovano dei lavoratori locali – giovani o meno giovani – una dopo l'altra saranno assunte da extracomunitari, immigrati e stranieri... Forse, allora, anziché gridare allo scandalo, sarà opportuno prepararli adeguatamente e pensare delle vie di inserimento ed integrazione. Contemporaneamente, però, sembra chiaro che tutto il “sistema lavoro” in Italia chiede di essere profondamente ripensato.

Alessio Magoga

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