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IL ROGO DEL CORANO IN SVEZIA

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

Parole chiave: corano (1), Svezia (1), UE (2), espressione (1), islam (2), libertà (2)
IL ROGO DEL CORANO IN SVEZIA

In un mondo che brucia – pensiamo a quanto sta accadendo nelle periferie delle principali città francesi o agli scenari sempre più preoccupanti in Ucraina –, il piccolo “fuoco” acceso in Svezia solo alcuni giorni fa non deve sfuggire alla nostra attenzione, perché consente di cogliere alcune contraddizioni del tempo presente. Il riferimento è al “rogo” del Corano, messo in scena a fine giugno ad opera di un trentasettenne di origini irachene, proprio di fronte alla grande moschea di Stoccolma, proprio all’inizio di una delle feste più sentite dai musulmani: la festa in memoria del sacrificio di Abramo. Il gesto è stato precedentemente autorizzato dalle autorità scandinave, perché – a quanto si apprende – «i rischi per la sicurezza [associati al rogo del Corano] non sono tali da vietarlo». Le forze di polizia svedesi hanno predisposto un adeguato servizio d’ordine, affinché la “dimostrazione” potesse avvenire in sicurezza, come di fatto è avvenuto.

Viste le reazioni del mondo islamico che ha giustamente bollato la manifestazione come un atto “islamofobico”, le autorità svedesi hanno corretto il tiro, affermando che «condannano fermamente questi atti che non rappresentano la visione del governo svedese», perché «espressioni di razzismo, xenofobia e relativa intolleranza non hanno posto in Svezia». Al tempo stesso, però, hanno ribadito che la manifestazione era stata autorizzata, poiché la Svezia prevede il «diritto costituzionale di libertà assemblea, espressione e dimostrazione». Per dirla in breve, la “libertà di espressione” (bruciare un libro ritenuto sacro da oltre un miliardo di persone è davvero un’espressione di libertà?) ha avuto la meglio sul rispetto nei confronti dei valori di una comunità di fede (in questo caso quella islamica, ma la prossima volta potrebbe essere quella cristiana o qualsiasi altra religione). L’Europa sembra presa in mezzo a questo “Scilla e Cariddi”: da un lato, la libertà di espressione sembra superiore a qualsiasi altra considerazione in merito, come le ragioni di prudenza e di opportunità e, in definitiva, il rispetto degli altri e di ciò in cui credono; dall’altro, il politicamente corretto (con la conseguente proliferazione del termine “fobia”) impone l’accoglienza, il rispetto, l’inclusività… verso tutti. Questo dilemma è reso plasticamente del passo in avanti e poi dal passo indietro delle autorità svedesi che, alla fine, si sono smarcate da una manifestazione che loro stesse avevano autorizzato.

Tante sono state le voci di condanna dell’episodio. Non solo di parte musulmana. Anche Papa Francesco è intervenuto e, facendo esplicito riferimento a quanto accaduto, ha detto in un’intervista: «Mi sento indignato e disgustato da queste azioni. Qualsiasi libro considerato sacro deve essere rispettato per rispetto dei suoi credenti; la libertà di espressione non deve mai essere usata come scusa per disprezzare gli altri: permettere questo va rifiutato e condannato». Molto dure, ovviamente, le prese di posizione delle autorità politiche e religiose del mondo islamico. Giustamente, verrebbe da dire, ma con qualche “però”. Il primo riguarda la reazione del turco Erdogan, che ha cavalcato (e cavalcherà) l’episodio non solo per motivi di carattere religioso, ma anche per rendere più difficile l’ingresso nella Nato della Svezia, con cui ha dei conti in sospeso a causa della questione kurda. Il secondo “però” riguarda il mondo islamico nel suo complesso, che giustamente rivendica il diritto di essere rispettato in Europa, ma al tempo stesso nei Paesi a maggioranza musulmana è chiamato ad emanciparsi, in modo più deciso, da forme di intolleranza e, a volte, di vera e propria persecuzione nei confronti delle minoranze religiose. Il rispetto, giustamente invocato in Europa, deve trovare forme di effettiva reciprocità anche nei Paesi a maggioranza islamica.

Alessio Magoga

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