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Il lavoro non può aspettare e non ha alternative

L'editoriale di don Giampiero Moret.

Il lavoro non può aspettare e non ha alternative

Il lavoro. Questo è il problema. I dati sulla situazione lavorativa nel nostro Paese continuano ad essere drammatici, come ha testimoniato l’Istat la scorsa settimana. Manca il lavoro soprattutto nella fascia giovanile e soprattutto al Sud del Paese. Nel primo trimestre del 2017 l’Istat ha registrato un aumento dei contratti di lavoro del 9,6%, ma si tratta soprattutto di contratti a termine e di apprendistato, mentre i contratti a tempo indeterminato sono diminuiti rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Il motivo è abbastanza chiaro: stanno terminando gli incentivi previsti dalla legge sul lavoro per incrementare le assunzioni a tempo indeterminato. Bisogna ammetterlo: il Jobs Act, da questo punto di vista, non ha funzionato. Si pensava che togliendo la rigidità del contratto di lavoro con l’abolizione del famoso articolo 18 e dando, praticamente, al datore di lavoro la possibilità di licenziare con un non gravoso risarcimento monetario, aumentassero le assunzioni a tempo indeterminato. In realtà hanno avuto un aumento significativo solo finché c’era l’incentivo. Per quanto riguarda le possibilità di lavoro, siamo sempre inchiodati ad un tasso di disoccupazione che oscilla tra l’11 e il 12%. Troppo alto. Troppe persone non trovano lavoro e precipitano nello stato di povertà.

Si certifica che nel nostro Paese esistono circa 9 milioni di persone sotto la soglia di povertà. In una situazione del genere il primo imperativo per chi ha la responsabilità del benessere del Paese è creare lavoro vero, cioè politiche attive che facciano aumentare le possibilità di trovare occupazione. Problema difficile per la crisi che ancora frena lo sviluppo e per le particolari situazioni in cui si trova l’attività produttiva, con lo sviluppo incalzante delle nuove tecnologie che sostituiscono i lavoratori con i robot. Ma proprio queste situazioni di emergenza dovrebbero stimolare le forze politiche a concentrare le loro forze a cercare soluzioni al problema lavoro. Invece, ahimè, è desolante constatare che, da una parte, ci sono partiti che cinicamente sfruttano il disagio sociale per accreditarsi come i nuovi messia e, dall’altra, ci sono partiti che concentrano tutte le loro forze per lambiccare una legge elettorale che li favorisca. Il lavoro può aspettare.Papa Francesco non perde occasione per incitare a mettercela tutta per assicurare a tutti il lavoro che è uno dei diritti fondamentali della persona.

Soprattutto in questo tempo di crisi e di trasformazione. Lo ha fatto anche sabato scorso intervenendo al convegno della Fondazione Centesimus Annus dedicato al lavoro: «In questi giorni – ha detto ai convegnisti – avete posto particolare attenzione alla questione cruciale della creazione di lavoro nel contesto della nuova rivoluzione tecnologica in atto. Come non potremmo essere preoccupati per il grave problema della disoccupazione dei giovani e degli adulti che non dispongono dei mezzi per “promuovere” sé stessi? E questo è arrivato a un livello grave, molto grave. È un problema che ha assunto proporzioni veramente drammatiche sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo e che chiede di essere affrontato per un senso di giustizia tra le generazioni e di responsabilità per il futuro». Con il Papa ci devono essere tutte le comunità e tutti i credenti a reclamare più interventi seri per creare lavoro.

Non c’è alternativa al lavoro. Non si può sostituire la necessità di avere un lavoro con l’offerta del “reddito di cittadinanza” proposto da M5S. A parte il problema non secondario di reperire i soldi per assicurare a tutti i cittadini un reddito che permetta di vivere dignitosamente, ciò che non convince è l’idea che esso possa prevalere sul lavoro, come ha affermato Grillo, dicendo che bisogna ormai separare il concetto di reddito dal concetto di lavoro. Ha ribattuto giustamente Renzi che più che di “reddito di cittadinanza”, si dovrebbe parlare di “lavoro di cittadinanza”. L’essere cittadino della repubblica “fondata sul lavoro” deve garantire in primo luogo di avere un lavoro, come fonte normale e dignitosa della propria autonomia e solo secondariamente e provvisoriamente avere un sussidio da parte della collettività quando non si riesce a trovare un lavoro. Lo esige la dignità della persona che ha nel lavoro la possibilità fondamentale di esprimere le proprie capacità e di realizzarsi.

GpM

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