Editoriale
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Il nodo si può sciogliere solamente in due

L'editoriale del direttore de L'Azione

Il nodo si può sciogliere solamente in due

La sera di venerdì 15 gennaio nel cuore della Scuola di preghiera è risuonato questo racconto: “Una persona che ha incontrato gli assassini di suo papà mi diceva che è come aver dentro un ‘elastico’ attraverso il quale la tua vita è sempre legata a quel giorno, indimenticabile evidentemente, incancellabile. La vita va avanti, naturalmente. Cammini, fai strada, passano gli anni, ti fidanzi, ti sposi, ti laurei, fai dei bei figli, hai una tua vita... Però c’è un pezzo della tua vita che rimane legato a quel luogo, a quel fatto, a quel giorno.

Ed ecco l’elastico: si tende negli anni e ti fa allontanare un bel po’. Però poi basta un niente, un pensiero, un ricordo, una parola che ti richiama un certo momento o magari un dettaglio, che ti ricorda la vita della persona che hai perso, e sei riportato duramente (perché l’elastico si è teso): sei riproiettato violentemente a quel luogo e a quei fatti dolorosi. Quindi o tiri fino che puoi oppure provi a sciogliere il nodo. Mi diceva questa persona: “Il nodo si può sciogliere solamente in due. Cioè non basta la mia eventuale volontà, ammesso che ci sia: bisogna farlo assieme”. Sono parole di padre Guido Bertagna, un gesuita di Padova, che ha proposto ai tanti giovani, attenti e assiepati nella cappella del Seminario, una riflessione- testimonianza sui percorsi di “giustizia riparativa”. Di cosa si tratta? Un itinerario di giustizia, liberamente accolto e accompagnato da alcuni mediatori, che viene proposto a persone in carcere, coinvolte per lo più nei fatti di sangue degli anni del terrorismo (anni ’70 e ’80), e ai familiari delle vittime.

«Un po’ alla volta – diceva padre Guido – queste persone possono accettare di incontrarsi e scoprire che c’è una possibilità di elaborare “diversamente” e di vivere “diversamente” il male che hanno fatto o hanno subìto». Certamente si tratta di un percorso che riguarda piccoli numeri di persone in carcere e tuttavia ha un forte sapore profetico. È come un indizio o un suggerimento di un percorso diverso, che può aiutare vittime e colpevoli a non fossilizzarsi nel rancore, a non invecchiare nell’odio e nel senso di vendetta, ma a pensare percorsi di riconciliazione non facili, certo, ma possibili. La riconciliazione e la pace non riguardano solo il colpevole ma anche la vittima e si possono raggiungere solo se entrambi – colpevole e vittima – in qualche modo si aiutano e trovano un terreno comune su cui intessere un faticoso ma salvifico dialogo. Gli anni ’70 e ’80 forse possono apparire lontani ai nostri giovani, ma ognuno di loro (e di noi!) sperimenta il peso e la sofferenza di personali ferite, delle quali a volte è stato vittima, altre volte carnefice. Anche il tempo in cui viviamo è segnato da profonde tensioni e dal rischio della contrapposizione e della rivendicazione. La testimonianza di padre Bertagna ci stimola ad avere il coraggio della profezia, a fare il primo passo e ad uscire dai consueti schemi. Ci sembra che sia questa la strada che pure papa Francesco con tenacia e coraggio sta cercando di percorrere.

Nel contesto della Giornata per il dialogo con l’ebraismo e della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, si collocano infatti la visita alla sinagoga e alla moschea di Roma e l’annuncio del viaggio in Svezia per la commemorazione dei 500 anni della Riforma protestante. Sono solo gli ultimi gesti, da un punto di vista cronologico, che esprimono la ferma convinzione del Pontefice: quella della necessità di un dialogo più profondo tra le religioni – e dunque tra i popoli del mondo – perché “in due si possano sciogliere i nodi” che rendono così difficile e doloroso questo inizio del terzo millennio. Ancora una volta sono i giovani a rendersi più sensibili al linguaggio del dialogo e a mettersi in gioco in una prospettiva di cambiamento. Questo mi fanno pensare due recenti e riuscite iniziative del mondo giovane: Orchestriamo la pace dell’Azione cattolica e Ma io che ne penso? degli Scout. In realtà tutti noi – giovani e meno giovani – siamo chiamati a entrare in questa logica, cioè quella del dialogo e della disponibilità a “metterci in due a sciogliere i nodi” che rendono talora così pesanti le nostre vite pubbliche e private.

Alessio Magoga

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