Editoriale
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L'altra campana

L'editoriale del direttore de L'Azione don Alessio Magoga.

L'altra campana

Una sessantina di persone venerdì scorso, a Oderzo, si è data l’opportunità di ascoltare mons. Giancarlo Perego, direttore generale della “Fondazione Migrantes”. Il tema era (ed è) di grande attualità e non solo per la città di Oderzo: “Le nostre comunità di fronte al fenomeno migratorio e il ruolo della Chiesa”. Chi vi ha partecipato ha potuto sentire un’altra campana sul problema delle migrazioni, mentre è stata un’occasione mancata per chi ha deciso di non venire. Significativi alcuni passaggi della proposta. Innanzi tutto, non fermandosi solo agli aspetti problematici che tuttavia non vanno dissimulati, Perego ha invitato a pensare che i migranti possono rivelarsi come una “risorsa”. Qualcuno obietterà che non è vero o che rubano il lavoro o che ciondolano tutto il giorno senza far nulla: basta dare un’occhiata ai commenti sui profili fb di alcuni cittadini “seccati” di queste presenze considerate scomode! Mons. Perego ha mostrato come di fatto gli stranieri siano già una risorsa. Non solo perché molti di loro fanno lavori che gli italiani non sono disposti a fare. Ma anche perché – al Nord certamente – quasi un bambino su 5 (in Emilia addirittura 1 su 4) è di nazionalità non italiana: la natalità degli stranieri dà un contributo importante perché nel nostro Paese non precipiti il rapporto tra nati e morti. Un secondo aspetto, emerso nella proposta di Perego, è che l’afflusso di profughi in Italia è sì importante ma non va esagerato. In Italia nel 2016 sono arrivati in 181 mila. 

Si tratta di un numero che una nazione come l’Italia – di circa 60 milioni di abitanti – può avere la capacità di gestire, se mette in atto delle politiche coordinate. Il numero effettivo di migranti si abbassa significativamente perché molti non si fermano in Italia ma procedono oltre, verso altri Paesi europei. Certo, la scelta di raggrupparli in centri affollati non è la più efficace. Tuttavia bisogna dire cosa si vuol fare: al 31 dicembre 2016, solo 600 comuni italiani su 8 mila hanno dimostrato la disponibilità a collaborare con i prefetti. Questa mancata collaborazione costringe le prefetture a ricercare altre forme di accoglienza come quella dei grandi ammassamenti. Accogliere – ha fatto intendere Perego – non significa che i migranti debbano essere accuditi in tutto nelle varie tipologie dei centri di accoglienza. Diverse mansioni della vita quotidiana è opportuno che siano svolte da loro stessi: dal preparare il cibo, a pulire e mettere in ordine gli spazi in cui vivono, sino ad individuare forme di collaborazione sul territorio… Questo approccio più collaborativo e meno “assistenzialistico” è già messo in atto da altri Paesi europei – come la Germania – e contribuisce ad abbassare i costi e a dare un’immagine più realistica dei migranti e della vita nelle nostre terre. In quest’ottica i contratti tra gli enti di accoglienza e le prefetture devono essere più snelli e rendere più facile la possibilità di attivare i migranti nella loro capacità di collaborazione. Un dato che colpisce è quello relativo all’accoglienza per regione. Se in numeri assoluti le regioni che hanno accolto di più nell’ultimo triennio sono state la Lombardia e il Lazio (il Veneto è quinto con 14.224), in numeri relativi primo è il Molise (11 migranti ogni 1000 abitanti) e seconda la Basilicata (4,5). Il Veneto è decimo con 2,9 migranti ogni 1000 abitanti: un dato che fa riflettere. Un’ultima considerazione: a fronte dei 181 mila migranti che sono entrati in Italia, ben 107.529 italiani nel 2016 sono andati all’estero, soprattutto nel Regno Unito e in Germania. Tra le regioni di emigrazione spiccano in particolare la Lombardia e il Veneto. “Con numeri di emigrazione di questo livello – ha sottolineato Perego – si può dire che l’Italia è tornata ad essere una terra di emigrazione, come negli anni ’60 e ’70”. Forse è arrivato il tempo di guardare in modo meno ideologico la situazione, senza cadere in letture semplicistiche che sottovalutano i problemi, e di avviare – insieme – politiche di sviluppo del tessuto economico e di maggiore integrazione culturale. Questa potrà rivelarsi un’occasione anche per i nostri giovani.

Alessio Magoga

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