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L'idea dell'Europa unita resta l'unica valida

L'editoriale del direttore de L'Azione don Giampiero Moret.

L'idea dell'Europa unita resta l'unica valida

Una volta c’erano gli anti europeisti per partito preso. Come la Lega, attaccata con tutta l’anima alle piccole patrie e che vedeva nell’unificazione dell’Europa il pericoloso abbandono del sacro suolo delle origini. Ora, invece, tutti a parlar male dell’Europa. Gli europeisti più convinti sono in crisi di fronte a questo diffuso rigetto. Come mai questa disaffezione nei confronti dell’Europa? I motivi sono evidenti: le regole che ci siamo dati in questi anni, soprattutto al momento del grande passo dell’unificazione monetaria, sono diventate insopportabili e sono il motivo principale per cui l’Europa non riesce a venire fuori dalla crisi, a differenza dell’America che sta viaggiando a vele spiegate per il mare della crescita. Ormai l’insubordinazione nei confronti delle istituzioni europee è generale. Clamoroso il caso della Francia che ha annunciato di non aver alcuna intenzione di rispettare il 3% nel rapporto deficit/Pil almeno fino al 2017. L’Italia con l’imminente legge di stabilità sta sfiorando quel limite e ha posticipato di un anno il pareggio di bilancio. La Germania che protesta contro i paesi più in difficoltà di non stare alle regole, è anch’essa mancante per l’espansione delle sue esportazioni oltre la quantità permessa. La Bce fatica a combattere la deflazione mantenendo l’inflazione sopra la soglia minima del 2%. 

Un sistema in cui nessuno riesce ad osservare le regole è evidentemente sbagliato. Abbiamo, allora, preso tutti un abbaglio in fatto di Europa? Hanno ragione coloro che si sono sempre opposti come si trattasse di un processo dannoso? Dobbiamo velocemente smantellare questa costruzione che da sessant’anni ci ostiniamo a costruire? Noi siamo convinti che l’idea di un’Europa unita sia giusta e debba rimanere salda. Non possiamo tornare alla vecchia Europa delle patrie in perenne contrasto tra di loro. C’è un preoccupante rigurgito di nazionalismo in tanti parti d’Europa che fa riapparire fantasmi del passato. La celebrazione del centenario della prima guerra mondiale deve essere un’occasione non per celebrare vittorie di un popolo contro l’altro, ma per constatare quanto assurda sia stata quella immane tragedia, quella “inutile strage”, per dirla con le parole del papa di allora Benedetto XV.

L’unico modo per non ritornare a quel passato è di mettere insieme gli interessi e le aspirazioni di popoli tanto diversi per storia e per cultura, ma anche tanto uniti nelle loro profonde radici, per armonizzarli e regolarli. Non è un’idea impossibile, ma la logica del vivere umano. La diversità tra i popoli d’Europa è evidente ed è ineliminabile, per cui non restano che due strade: o ciascuno tenterà di far valere la propria diversità opponendosi agli altri con il risultato che il più forte dominerà su tutti, oppure si cercherà di trovare un accordo in cui ciascuno metta in comune la sua reale ricchezza e lasci invece perdere ciò che è solo volontà di potenza e orgoglio di superiorità.

Le ricchezze veramente umane possono convivere, anche se diverse, diventando arricchimento di tutti. Allora di fronte alla delusione generale nei confronti dell’Europa così come è stata costruita finora, dobbiamo reagire non buttando giù tutto, ma cercando di individuare dove abbiamo sbagliato. C’è abbastanza convergenza nel dire che nel momento dell’introduzione dell’euro ci si è preoccupati soltanto che qualcuno degli stati membri non pensasse di lasciarsi andare ad una finanza allegra contando sulla solidarietà degli altri. Preoccupazione giusta, soprattutto se teniamo conto che di fatto esistono paesi che hanno questa tendenza, non escluso il nostro. La diffidenza era giustificata e le regole precise obbligate. Ma questa esigenza di rigore finanziario non è stata compensata da meccanismi di sostegno per le parti più deboli del corpo europeo e politiche efficaci di espansione economica. Questa unilateralità di visione ci ha trovati deboli di fronte all’assalto della crisi economica.

Abbiamo continuato ad applicare le regole del rigore finanziario mentre l’Europa, incominciando dai paesi più deboli, andava sprofondando nella depressione, che vuol dire rallentamento della produzione, mancanza di lavoro, povertà dilagante. Siamo, dunque, abbastanza consapevoli delle cause che ci hanno portato fuori strada e quindi della via che dovremmo imboccare. Si deve puntare ad una politica comune di espansione, di stimolo, di investimenti coraggiosi. Ma quanta fatica a cambiare! Si devono ripensare trattati e accordi che richiedono processi lunghi e laboriosi. Soprattutto ci deve essere quell’ingrediente necessario perché ogni sforzo di unificare diversità abbia successo: la fiducia reciproca che si è logorata in questi anni di crisi.

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