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LA VITTORIA DI PIRRO

L'editoriale de L'Azione di questa settimana.

LA VITTORIA DI PIRRO

L'hanno definita una vittoria dello Stato. La condanna in Corte d’Assise di due carabinieri per la morte di Stefano Cucchi, 33enne romano arrestato per motivi di droga e morto dopo sette giorni a seguito delle percosse ricevute in caserma e/o carcere, ha dimostrato la volontà della Giustizia di non insabbiare una verità scomoda e di voler anzi condannarne i responsabili. Omicidio preterintenzionale, quindi non volontario, ma pur sempre omicidio. Ma è anche una sconfitta dello Stato. Perché se uomini dello Stato, cui è affidata la sua sicurezza, la tutela dei suoi cittadini e la garanzia del rispetto delle sue leggi, commettono simili reati, se di vittoria dobbiamo parlare è di vittoria di Pirro. Per analogia, a molti è ritornata alla mente la triste vicenda del G8 del 2001 a Genova, culminata con l’irruzione nella scuola Diaz e gli atti che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato “di tortura” nella caserma Bolzaneto. Casi eclatanti, ferite ancora aperte. Nessuno di noi saprà mai veramente cosa e soprattutto perché sia successo dopo l’arresto di Stefano Cucchi. È solo stato acclarato che la sua morte non è avvenuta per cause naturali. E per questo ci sono state le condanne. Non esistono attenuanti per comportamenti simili da parte di uomini dello Stato. Punto e a capo. Ma la legge è uguale per tutti e non esiste chi debba rispettarla più degli altri.

Lo Stato ha avuto il coraggio di cercare la verità e punire conseguentemente dei propri rappresentanti. E questo è un atteggiamento esemplare. Ma non lo è sempre. Non lo è quando suoi esponenti istigano violenza sociale con finalità elettorali, oppure gestiscono la propria autorità in barba alle norme, oppure cercano vantaggi personali nell’esercizio del potere affidato loro dalle elezioni. Non uccidono, certo. E infatti non vengono condannati. Per la verità spesso non vengono nemmeno processati, quando si alza lo scudo dell’immunità parlamentare. Ma quale esempio danno? Quanto odio, quanta rabbia iniettano nella società, facendolo attecchire in chi non ha i mezzi per capire e controllarsi, con conseguenze anche drammatiche? Una complicazione nella ricerca della giustizia nella vicenda Cucchi è derivata dalle perizie mediche sul ragazzo. L’opinione pubblica pretende dai medici una verità oggettiva, senza condizionamenti. Giustissimo. Ma la stessa oggettività deve essere pretesa anche quando ciascuno di noi cerca una perizia assicurativa magnanima dopo un tamponamento, quando chiede al medico qualche giorno di “malattia” in più del necessario, quando chiede di chiudere un occhio per il rinnovo della patente... Non si uccide, certo. E infatti non si viene condannati. Ma in un certo senso si ruba: per restare agli esempi citati, all’assicurazione, al datore di lavoro, alla sicurezza stradale. Poca cosa, se vogliamo; ma chi ci dice che derubricando a piccolezze questi atteggiamenti non si sdogani una escalation che possa condurre ad atti illeciti più gravi? Se il Mose non si è alzato la settimana scorsa a Venezia è sicuramente anche a causa delle ruberie che hanno rallentato la sua realizzazione. Però tutti i politici sono accorsi al capezzale della città che sprofonda, in una vergognosa passerella. La solidarietà è altra cosa: non è presentarsi con gli stivaloni in piazza San Marco davanti ai microfoni e alle telecamere, è spalare fango dalle calli. Nel caso dei politici è portare avanti progetti, è promulgare leggi giuste, è fare presto. Nel caso degli imprenditori è lavorare sodo, pagare i dipendenti e i fornitori, cercare di guadagnare il giusto in modo corretto. Tutti noi, non solo i politici o i carabinieri, ogni giorno ci troviamo di fronte a bivi tra la legge e la furbata, tra la passerella e la solidarietà vera. Nello scegliere la strada, sta a noi ascoltare la coscienza o il clacson di chi ci segue.

Alessandro Toffoli

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