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LE PAROLE... IN TEMPO DI GUERRA

L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga

LE PAROLE... IN TEMPO DI GUERRA

Due interviste stanno suscitando nel panorama mediatico italiano, proprio in questi giorni, un vivace dibattito. Mi riferisco all’intervista rilasciata a Rete4 dal ministro degli esteri russo Lavrov e a quella di papa Francesco pubblicata sul Corriere della Sera. Vale la pena soffermarsi su due esempi, molto diversi, di giornalismo che si intrecciano con le vicende belliche in atto in Ucraina (e sulle quali possono avere effetti di un certo rilievo).

La prima intervista – quella a Lavrov – pone un interrogativo molto serio al mondo dell’informazione: nel nome della libertà di parola, si può davvero lasciare spazio e intervistare chiunque? Mi chiedo se sarebbe libertà di stampa intervistare – senza alcun contraddittorio e con domande accordate – dei mafiosi a piede libero, convinti della “bontà” della loro scelta malavitosa. Da un punto di vista giornalistico, forse sarebbe anche uno “scoop” (una notizia che attrae lettori o ascoltatori), ma sarebbe eticamente accettabile? L’esempio – con tutti i distinguo del caso – vale solo per dire che ci sono dei limiti che il mondo della comunicazione generalmente si autoimpone, perché è persuaso del fatto che la malavita non può essere posta sullo stesso piano delle vittime. Nel conflitto in Ucraina questa autoevidenza che chiede di salvaguardare le vittime (in questo caso il popolo ucraino, invaso da un aggressore) sembra vacillare, se non addirittura essere negata da non poche persone. Tuttavia, le enormità che Lavrov ha avuto tutto l’agio di dire, con dovizia di particolari e col placito benestare del suo intervistatore (come le presunte “origini ebraiche di Hitler”), rivelano la pochezza delle sue argomentazioni e rischiano di essere un clamoroso autogoal. O misteriosa eterogenesi dei fini!

Per ben altri motivi, invece, ha fatto parlare di sé l’intervista a papa Francesco. Pur avendo tutto un altro tenore, vi è chi ha colto nelle parole del Pontefice quale assonanza con quella del ministro russo, per la neanche tanto velata critica alla Nato. Il Papa, infatti, ha attribuito a quest’ultima una certa responsabilità nello scoppio della guerra: ha parlato di “un’ira facilitata” dall’“abbaiare della Nato alla porta della Russia” che avrebbe portato il Cremlino a “reagire male ed a scatenare il conflitto”. Una posizione – quella del Papa – sulla quale come cattolici si può discutere, dal momento che non è materia di “infallibilità”, ma che ha dalla sua almeno qualche argomento. Il Pontefice ha mantenuto una posizione molto più cauta sul tema dell’invio delle armi da parte dei Paesi occidentali all’Ucraina. Se, da un lato, ha duramente condannato la produzione ed il commercio delle armi, contro il quale – secondo il Papa – nessuno prende una chiara posizione, dall’altro ha affermato: “Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini”. Non è un sì palese, certo, ma non è neppure un “niet!”. Sono state forti, invece, le parole con cui il Papa ha tratteggiato il dialogo avuto qualche tempo fa con il Patriarca Kirill, dopo che questi gli aveva spiegato le motivazioni con cui egli giustificava la cosiddetta “operazione militare russa”: “Fratello, noi non siamo chierici di Stato”. Un’espressione, questa sì, molto chiara, come chiara è stata la volontà espressa dal Pontefice di incontrare quanto prima Putin – magari a Mosca – perché “fermi la guerra”. Chissà se questa proposta sarà raccolta: sarebbe un passo importante verso la pace.

Le parole, in questo tempo di guerra, non sono meno potenti delle armi e il mondo dell’informazione ha una grande responsabilità: può sfruttare il momento per tentare lo “scoop” ed alzare gli indici d’ascolto oppure scegliere di fare chiarezza su quanto accade e contribuire alla pace. La stessa responsabilità viene affidata ogni giorno anche ad ognuno di noi: l’uso che ne facciamo si vede da quello che scriviamo sui social e dal modo in cui ci esprimiamo con le persone che ci è dato incontrare.

Alessio Magoga

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