Editoriale
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La lezione di quell'abbraccio

L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.

La lezione di quell'abbraccio

Cosa farei se avessi davanti a me solo pochi istanti di vita? Forse ci siamo posti qualche volta – magari solo per un secondo – questa domanda. Ogni tanto l’interrogativo mi balena in testa, prima di un viaggio impegnativo o – più raramente – in aereo. Credo che, dopo essermi raccomandato a Dio, il mio pensiero andrebbe immediatamente alle persone più care. Cercherei di raggiungerle, in un modo o nell’altro, per un ultimo saluto e per dire almeno che ho voluto loro bene. Certo, partirei dalla famiglia. Magari una veloce telefonata. O un semplice messaggio. Del tipo: “Grazie” o “Non siate tristi: ci rivedremo un giorno”. Più o meno di questo tenore sono stati gli ultimi messaggi e le ultime parole di Gloria e di Marco ai loro genitori, prima di morire nel tragico rogo della Grenfell Tower di Londra, il 14 giugno scorso. “Sto per andare in cielo – sembra aver comunicato Gloria ai suoi genitori – e da lassù vi aiuterò. Grazie per quello che avete fatto per me”. Come è noto, i due giovani poco meno che trentenni – lei di San Giorgio delle Pertiche, nel Padovano, lui di San Stino di Livenza – si erano laureati in architettura a Venezia e da alcuni mesi si erano trasferiti a Londra, con lo scopo di migliorare l’inglese e di trovare lavoro. In poco tempo erano riusciti a farsi assumere in due studi di progettazione e avevano deciso di fermarsi in Inghilterra. Poi il drammatico incendio in cui, insieme ai due giovani veneti, sono morte altre 80 persone, anche se il bilancio pare lungi dall’essere definitivo.

Dopo il corpo di Gloria, che è stato riconosciuto il 3 luglio, qualche giorno fa è stato identificato anche il corpo di Marco. Come ci si poteva aspettare, i corpi sono stati trovati nello stesso appartamento, molto vicini l’uno all’altro. Qualche giornale scrive che “forse erano abbracciati”. In ogni caso, l’uno a fianco all’altra hanno affrontato insieme gli ultimi terribili momenti. Come non cercare, in un passaggio così drammatico, la vicinanza e la presenza di chi amiamo? L’abbraccio è forse una delle espressioni più belle per manifestare l’affetto e la prossimità: il nostro “esserci”. Non sarebbe davvero strano pensare che negli ultimi istanti di vita i due fidanzati si siano abbracciati o per lo meno abbiano provato a farlo, in quell’inferno di fumo e fuoco in cui si era trasformato il loro appartamento. I gesti Marco e Gloria – i loro messaggi commoventi e la loro affettuosa vicinanza sino alla fine – parlano di un vocabolario “altro” rispetto a quello che troppo spesso si sente urlare anche in questi giorni di violenza assurda e immotivata sulle nostre strade e nelle nostre case… Marco e Gloria ci rinviano al vocabolario della gratitudine e della tenerezza. Ci ricordano pure che la vita è bella ed è un dono da apprezzare. “Non voglio morire” sembra aver detto Gloria ai suoi, in un ultimo messaggio: sia lei che Marco avevano un futuro promettente davanti e progetti e sogni da realizzare. Tempo fa in una trasmissione radiofonica a un sacerdote è stato chiesto che cosa avesse imparato dalla sua lunga esperienza di accompagnamento spirituale. Lui rispose: “Ho imparato che nella storia di ciascuno di noi tutto ha un senso; tutto ha un valore. Non si deve mai buttar via nulla”. Anche le difficoltà, le fragilità, i momenti bui: anche dentro a tutto questo Dio conduce l’uomo verso la salvezza. Anche attraverso i fatti dolorosi – nostri o degli altri – c’è un messaggio per noi, affinché ci orientiamo al bene, alla vita, all’amore... Sta a noi però lasciarcene toccare, per scegliere la gratitudine al posto del rancore, la tenerezza al posto dell’egoismo.

Alessio Magoga

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