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La santità di Montini, il valore dell'umano

Editoriale di Angelo Maffeis, presidente Istituto Paolo VI

La santità di Montini, il valore dell'umano

Nonostante le lodevoli intenzioni da cui era mossa, l’agiografia ha spesso reso un pessimo servizio alla causa della santità cristiana. Una presentazione oleografica dei santi e un’idea disincarnata della perfezione da loro vissuta hanno infatti provocato frequentemente il rifiuto di un ideale di vita percepito come incapace di apprezzare il valore della realtà umana e dell’impegno nel mondo. Quando ci si accosta a Giovanni Battista Montini ci si rende conto che l’ispirazione religiosa da cui è stato guidato il suo agire non è mai andata a scapito della capacità di riconoscere l’importanza dell’umano in tutte le sue dimensioni: l’intelligenza che si interroga sul mondo e la scienza che ne scruta i segreti, la cultura e l’arte che nobilitano e rendono bella la vita umana, la capacità di dare forma al mondo attraverso il lavoro e di costruire una convivenza sociale pacifica e prospera attraverso l’impegno politico. Anche su questo punto il Pensiero alla morte documenta lo sguardo stupito e grato di Paolo VI sull’uomo e sul mondo: “questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d’essere cantato in gaudio e in gloria: la vita, la vita dell’uomo! Né meno degno d’esaltazione e di felice stupore è il quadro che circonda la vita dell’uomo: questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità”. L’atteggiamento dialogico che ha ispirato l’azione pastorale di Paolo VI nasce da questo apprezzamento per ogni essere umano, per l’impronta che il Creatore ha impresso nella sua vita e per la destinazione che essa porta con sé, così come per il mondo creato che non è caotico e dominato dalla casualità, ma riflette la sapienza del Verbo divino per mezzo del quale è stato fatto. Il servizio pastorale alla Chiesa ha dunque come ultimo scopo che la Chiesa possa compiere il suo servizio all’umanità. È questo il tema che Paolo VI propone con forza al termine del Vaticano II, nel discorso rivolto all’assemblea conciliare il 7 dicembre 1965. “La Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo che si fa soltanto centro d’ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione d’ogni realtà. Tutto l’uomo fenomenico, cioè rivestito degli abiti delle sue innumerevoli apparenze; si è quasi drizzato davanti al consesso dei Padri conciliari, essi pure uomini, tutti pastori e fratelli, attenti perciò e amorosi: l’uomo tragico dei suoi propri drammi, l’uomo superuomo di ieri e di oggi e perciò sempre fragile e falso, egoista e feroce; poi l’uomo infelice di sé, che ride e che piange; l’uomo versatile pronto a recitare qualsiasi parte, e l’uomo rigido cultore della sola realtà scientifica, e l’uomo com’è, che pensa, che ama, che lavora”. Il Concilio – sottolinea Paolo VI – ha raccolto la sfida lanciata alla Chiesa dall’umanesimo laico, che intende realizzare una pienezza umana indipendentemente da Dio, e ha proposto con forza, ma senza lanciare anatemi, l’umanesimo cristiano come alternativa. “La religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo”.

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