MESSE A PORTE CHIUSE... PER IL BENE DI TUTTI
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.
Mentre scrivo questo editoriale (mercoledì 11 marzo) l’Italia è divenuta tutta zona “protetta” e forse a breve saranno prese ulteriori misure ancora più restrittive. Ormai ci stiamo rendendo conto che non si tratta di uno scherzo. Si comincia a percepire un rapido cambiamento nel modo di comportarsi delle persone. Evidente è il calo del traffico e numerosi esercizi si stanno orientando alla chiusura. Le istituzioni – a cominciare dal Presidente Mattarella, al Primo ministro Conte sino ai Governatori delle Regioni ed ai sindaci – invitano con crescente fermezza alla responsabilità ed a “restare a casa” e i loro appelli sembrano iniziare a dare effetto. Ciò che ha veramente convinto gli italiani a cambiare il proprio comportamento, forse, sono anche le notizie che vengono dagli ospedali, soprattutto quelli lombardi, e la curva delle nuove infezioni e dei morti che continua a salire. Sì, non si può più scherzare. Cosa dicono ora quanti, fino a qualche giorno fa, affermavano in pubblico che il Covid-19 era una montatura oppure – al massimo – una semplice influenza? Forse non l’hanno capito ancora proprio tutti (Vittorio Sgarbi, ad esempio, si permette inutili ed offensivi video), ma un po’ alla volta ci stanno arrivando. Ormai è chiaro che l’unico modo per venirne fuori è ridurre il più possibile i contatti umani: solo così si può rallentare il contagio ed evitare di mandare in crisi i reparti di terapia intensiva dove sono ricoverati i casi più gravi, sempre più numerosi. Dentro a questo quadro complesso, si collocano le disposizioni dei nostri vescovi – prima dei vescovi lombardi, poi via via dei presuli delle altre regioni, del Nordest ed ora della stessa Conferenza Episcopale Italiana – che hanno invitato tutti i sacerdoti a celebrare la messa per il popolo, sebbene “senza il popolo”. Si tratta di una misura straordinaria, che non è presa a cuore leggero e della cui gravità si è ben consapevoli: quali saranno le ricadute sulla vita pastorale delle nostre comunità? La percentuale, già piuttosto bassa, di frequentanti come sarà una volta finita l’emergenza?
Sono domande che i pastori si pongono. Ma che cosa avrebbero dovuto fare? Resistere alle autorità civili e fare obiezioni di coscienza? Ferisce il modo con cui alcuni giornalisti criticano l’operato dei vescovi italiani: penso, ad esempio, ad Aldo Maria Valli e ad Antonio Socci. A quanti si scandalizzano dell’impossibilità di partecipare alla messa – “Nemmeno durante la guerra è accaduta una cosa simile!” – faccio presente che si tratta di provvedimenti emergenziali e passeggeri, finalizzati a vincere quanto prima la “guerra” contro Coronavirus, i cui effetti - purtroppo - si faranno sentire a lungo. Gli stessi “censori” imputano gli attuali provvedimenti della Chiesa ad una mancanza di fede e ad un disamore dei pastori nei confronti delle comunità loro affidate. Sono il primo a dire che dobbiamo crescere tutti nella fede – io compreso! – e così anche nell’amore e nella dedizione al nostro ministero: pertanto, ben vengano gli stimoli e le provocazioni in questa direzione. Tuttavia trovo che sia temerario, magico e al limite addirittura demoniaco “tentare” Dio sfidando le leggi della natura e della scienza, ritenendo che un’azione liturgica o una assemblea eucaristica – in quanto “azione sacra” – sia preservata dalle dinamiche di diffusione di un virus. L’espressione dei cristiani martiri dei primi secoli: “Sine dominico non possumus” (“Non possiamo vivere senza la domenica”) non ha senso tirarla in ballo nel nostro contesto, come stanno facendo alcuni detrattori: in quel caso c’era una persecuzione in atto, che imponeva ai cristiani di abiurare la propria fede per sempre e conseguentemente di non celebrare l’eucaristia; oggi si tratta di una norma transitoria e convenuta consensualmente tra lo Stato e la Chiesa, in un atteggiamento di mutua collaborazione, per il bene comune: il bene cioè della società in cui tutti vivono, laici e cattolici. Smettiamola allora di giocare a chi ha la fede “più pura”: camminiamo insieme e, pur accettando che ci siano sensibilità diverse, suggeriamo alternative a questa situazione segnata dalla pesante mancanza della messa. In questi giorni, tuttavia, la fantasia non è venuta meno e sono state ideate molte alternative in attesa di tornare a vivere comunitariamente la celebrazione eucaristica: nella nostra diocesi penso al servizio prezioso de La Tenda TV e di Radio Palazzo Carli, alle celebrazioni ed iniziative su YouTube e Facebook di diverse comunità parrocchiali, alle indicazioni di preghiera personale e familiare suggerite dai parroci e dagli uffici diocesani, e noi, come settimanale diocesano, cerchiamo di fare la nostra parte coll’obiettivo di trasmettere notizie che siano utili e verificate. Se è vero che l’eucaristia è “fonte e culmine” della vita cristiana, questi giorni di astinenza ci invitano ad indossare per una volta i panni degli altri: che cosa dovrebbero dire quelle comunità dell’Amazzonia nelle quali la celebrazione eucaristica arriva solo poche volte all’anno o quelle coppie cosiddette “irregolari” che non possono accedere alla comunione, pur desiderandolo fortemente? Forse questo tempo viene a ricordarci che a volte “gli altri” possiamo essere anche noi e ci chiedono di essere un po’ umili, un po’ più solidali. Di avere fede e di camminare insieme.
Alessio Magoga
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